"Onore ai vivi" di Giovanni Peli: una nota di lettura di Mara Venuto
Nel poema autobiografico “Poeta delle Ceneri”, Pier Paolo Pasolini scrive:
Ecco, questa stessa dichiarazione di intenti è ravvisabile nell’interessante raccolta poetica “Onore ai vivi” di Giovanni Peli, poeta, musicista e “micro- editore”, come si definisce, per Lamantica Edizioni, progetto culturale avviato con la sua compagna di vita, la traduttrice e organizzatrice teatrale Federica Cremaschi. In via generale, in una nota di lettura o in un approfondimento su un’opera, tutti questi riferimenti biografici sull’autore non sarebbero necessari. Nel caso di questa raccolta, invece, risultano elementi centrali, non solo perché si tratta di un lavoro intimo e personale ispirato dall’esperienza della paternità di Giovanni Peli (“aspetto il figlio”, scrive), sin dai suoi albori (“Questo canto comincia quando tu sei battito”;“un respiro nell’ecografia / sedici millimetri / foto in bianco e nero”), ma anche perché i richiami alla storia dell’autore consentono un’altra riflessione, da affiancare a quella di Pasolini, su quali vissuti meritino, e riescano effettivamente, a diventare poesia.
Peli,
nel verso conclusivo di uno dei primi testi della raccolta, sembra
subito concordare con Pasolini: “le
parole non appartengono alla poesia”,
tanto più in presenza di eventi trasformativi che rimpiccioliscono
il ruolo del dire rispetto al contemplare ed esperire (“oggigiorno
le parole non sorreggono”). Tuttavia,
nel caso di “Onore ai vivi”, raccolta incentrata proprio su un
evento personale e familiare, appare inevitabile riprendere l’altra
riflessione al centro di questa nota, e confermare la necessità di
uno strumentario poetico solido e compiuto, di argomenti emotivi
maturi e, soprattutto, di una lingua ponderata e precisa, per
riuscire a tradurre un fatto privato, per quanto significativo, in
letteratura.
Ricorro ad alcuni versi tratti da “Onore ai vivi”, raccolta di poesie e prose poetiche brevi appena giunta alla terza edizione, perché possa divenire più chiaro questo processo:
in verità arriva un figlio
hai paura di non saper scrivere dopo di lui
e scrivi prima per denudarti ancora
dimenticare dimenticare e cantare
vivi fino all’ultimo ricordo
vivi
In questo breve componimento, la limpidezza del dettato appare funzionale a diradare le ombre, quei dubbi e timori che accompagnano l’esperienza genitoriale; l’autore armonizza con accuratezza lingua e senso, le allitterazioni evocano il canto e creano una musicalità tangibile; nei versi finali la ripetizione di “vivi” si colloca sul limine tra due dimensioni, quella del verbo e quella del soggetto, tra l’attore e l’azione, evocando uno spazio nuovo dichiarato, nel corpo della raccolta, in un altro testo: “nessuno ha bisogno davvero di un significato / ti insegnerò il nulla”.
Il percorso esistenziale, dunque, appare aderente a una ricerca estetica, che è parte imprescindibile della poesia; il poeta mostra di tenere a mente una domanda semplice ma ineludibile, che precede lo scrivere: perché mai potrebbero interessare le singole vicende biografiche, spesso comuni, quando l’espressione delle stesse non è capace di splendere e persino di illuminare, di aggiungere e non sottrarre valore?
può scegliere se vivere
o occupare il suo posto nel mondo
può decidere di passare alla storia
come quello che è morto lasciando qualcosa
ma tutti siamo perduti e alla resa dei conti
siamo costretti a definirci noi
noi tutti ci ritroveremo tagliati di netto
con le ossessioni un tempo addomesticate
e amate
le frasi forbite che sfruttano biografie
e altre menzogne
le due parti di noi non sono più conciliabili
Proseguo con un ultimo testo in cui è visibile una ricercata trasparenza, e che risulta emblematico del lavoro compiuto dall’autore per apparigliare forma e contenuto, espressione ed esperienze, scrittura e storia personale:
a casa mia ci facciamo del male
poi ci fasciamo come capita
ma nessuno ha bisogno di scappare
dondoliamo al ritmo
giochiamo con i limiti
il pensiero sfiora il cielo
cadiamo e ci calpestano
sappiamo come fare
dondoliamo
In questa raccolta, senza dubbio, l’operazione di verità e di denudamento è attuata per sottrazione, ricorrendo a una lingua non lirica né particolarmente metaforica, al contrario adatta a farsi comprendere: l’intento comunicativo e trasmissivo è centrale e centrato, senza che manchino graffi e scorticature sui veli del quotidiano, che mostrano l’attitudine del poeta a contemplare la placida superficie dell’acqua, consapevole dell’immancabile gorgo viscerale che più di tutto fa la poesia (“e se ancora deve esserci la poesia / sia catastrofe”).
Anche grazie a una chiara predilezione per la musicalità del verso, Peli, da poeta e musicista, mira a creare un canto, una testimonianza che potrebbe farsi orale, ponendosi in continuità con la tradizione di fronte agli eventi più significativi, fra cui la trasmissione della vita.
Nel confronto interiore con l’attesa della nascita di un figlio, la trasformazione avviene prima di arrivare all’incontro, senza che l’evento si sia verificato in carne e suoni, già “tutto è cambiato / e niente è più importante”. Il poeta sente l’esigenza di lasciarne traccia, e questo è ben comprensibile, tuttavia il successo di pubblico e di diffusione della raccolta “Onore ai vivi”, giunta alla terza ristampa, suggerisce anche un altro dato: ai lettori, persino agli esigenti e talvolta cinici lettori di poesia, interessa la verità, interessano i percorsi intimi e personali degli autori, le storie vive dietro le parole. Purché non manchi il rispetto poetico, l’abilità di tradurre il nucleo autentico di una biografia o di una vicenda in un ordito di versi lavorato e cosciente, non universale ma sempre epifanico.
Questo post è a cura di Mara Venuto.
Per ordinare il libro "Onore ai vivi" di Giovanni Peli, scrivere a lamanticacultura@gmail.com