Fernanda Romagnoli: una disperata ricerca della luce

 




Quando



Dammi la tua mano da stringere
quando riprende il mattino
dal cinerino velo dell'inizio,
quando al sudario del cielo
l'oriente getta una rosa
consumando il supplizio
della resurrezione della carne.

Dammi la tua mano da stringere
quando erompe la rosa del sole
e dall'ombra annientata si spande
la gloria e l'indizio:
- si ridestò, non è qui! -

Quando il mio Dio m'assedia
da un'aurora qualunque,
al mio povero corpo imponendo
il suo innesto divino
la folle tentazione dell'eterno:

ed io, abbagliata, più non mi difendo
- confitta dal limo terrestre
come uno spino. -


***


Anime


Vi sono anime liete,
puntuali alla luce, come al fiato
di marzo margherite.
Così fosse di me. Verso il mattino,
quando i sogni si fanno verticali
per leggerezza, io sono d'un tessuto
trasparente; nelle mie vene l'alba
beve il suo fresco vino.
Ma subito, al risveglio, con un muto
grido di metamorfosi, la carne
ha già escluso la luce. Già mi ingombro
di cupi stami. Pollini irrequieti
mi violentano e fuggono. - Mai sazia,
infecondata. - A me verrà la Grazia
con l'erpice di luglio, la vampata
del sole a piombo.


***


Pugnale


Lancinante, presente alla coscienza,
all'unisono col risveglio,
in anticipo sulle ciglia,
fra costa e costa è qui:
mia piaga, mio tormento, mio pugnale.
Come respirerò. Come potrò
vestirmi, camminare.
Decidere che voglio e che non voglio.
M'aggrappo alla mia gruccia di pazienza.
Penso che il mio dolore a poco a poco
pungerà meno (e questo anche fa male,
ché con lui tutto il resto avrò perduto).
Penso: <<Di ieri batte già più fioco:
nulla d'umano eternamente dura>>.
Poi di soppiatto s'alza la memoria,
vibra una proditoria
botta all'impugnatura.


***


Dolore a due


Sì, noi ci detestiamo con amore
in questa luce d'aprile che ci accusa
apertamente di tutto ciò ch'è in noi
non durevole, o in bilico, o già guasto:
di rughe e d'occhi che perdono splendore,
e di tutte le usure registrate
su noi a nostra insaputa, con inganni:
mentre ci affannavamo con creature,
con cose, e il mondo ci occupava gli anni
dell'esistere - tranne qualche feritoia
per l'anima.
      Di repente in un'angoscia
ti sporgi verso la via, le case: tenti
un ormeggio nel volto delle cose.
Io non mi muovo: ho in grembo
questo dolore a due, questo mistero
d'una fiamma che più si agita in canti
quanto più affioca. Ed in silenzio <<Provati
a disfare il già fatto>>
ti sfido - approfittando
che mi volgi la nuca, per sorriderti.


***


Il tredicesimo invitato


Grazie - ma qui che aspetto?
Io qui non mi trovo. Io fra voi
sto come il tredicesimo invitato,
per cui viene aggiunto un panchetto
e mangia nel piatto scompagnato.
E fra tutti che parlano - lui ascolta.
Fra tante risa - cerca di sorridere.
Inetto, benché arda,
a sostenere quel peso di splendori,
si sente grato se qualcuno casualmente
lo guarda. Quando in cuore
si smarrisce atterrito <<Sto per piangere!>>
E all'improvviso capisce
che sia di un'ombra al suo posto:
che - entrando - lui è rimasto chiuso fuori.





Fernanda Romagnoli, nata nel 1916 a Roma da una famiglia piccolo-borghese, si diplomò alle magistrali e poi in pianoforte all'Accademia di Santa Cecilia. Sposatasi con Vittorio Raganella, militare di carriera, ha vissuto sempre accanto a lui e alla loro unica figlia Caterina, lavorando come maestra elementare.

Gravemente malata per molti anni, morì nel 1986.

Le sue poesie, pubblicate tra il 1943 e il 1980 in sole quattro raccolte, sono testi altamente drammatici, segnati da un'intensità visionaria, da una passione mistica e tragica unica nel Novecento italiano.











Questo post è a cura di Luca Pizzolitto.

Le poesie che avete letto sono tratte dalla raccolta di Fernanda Romagnoli, "La folle tentazione dell'eterno" (Interno Poesia, 2022).
L'immagine in copertina è un particolare di un acquerello di Nicola Magrin.

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