"L'oggi come un grande bluff": alcune poesie di Guglielmo Aprile
Gugliemo Aprile è un
autore prolifico, ha pubblicato a partire dal 2008 otto raccolte di
poesie, fino a due sillogi nel medesimo anno, in media composte da
una settantina di poesie.
Appare, dunque, evidente una forte
necessità di osservare e dire, una vocazione urgente a elaborare una
riflessione sul proprio tempo.
Falò
di carnevale, opera
edita
da Fara
nel 2021,
di
cui si propone di seguito un’ampia selezione di testi, si può
facilmente collocare nella poesia civile, in quanto echeggia in tutte
le sezioni una acuta osservazione del quotidiano, oppresso dal
consumismo e dalla solitudine urbana. L’opera mostra uno stile di
scrittura fotografico e narrativo, Aprile evidenzia la vita nelle
città impregnata di non senso, i meccanismi contemporanei di
produzione ed estinzione nei bisogni più materiali; l’umanità
appare quasi esangue e sconcretizzata, un non amalgama di corpi
spenti. L’autore ricorre a una lingua chiara e diretta, ma non per
questo ingenua: la costruzione del verso, con largo ricorso
all’enjambement, rivela una necessità di trovare un
filo conduttore nell’approccio al reale. Le pause grafiche,
ugualmente, paiono espressione del pensiero dell’autore e del suo
soffermarsi sui dettagli e le minutaglie dell’esistenza,
inosservate forse a tutti fuorché all’indagine empatica di poeti e
artisti.
Sezione Grande Bluff
Binario vuoto
Il
brusio di fondo della stazione
gremita già alle sei di lingue
nere
tampona una falla, occulta un’enorme
sfasatura,
incongruenza
tra quanto il tabellone elettrico indica
e
la reale destinazione unica
di ogni partenza; stona
questa
fame dei passi
con il sorriso del binario vuoto
che
troveranno, con il pugnale
della sua rettilinea metallica
sentenza
che trafigge il Buddha della mattina
e così
incandescente che sembra urli.
*
Piattaforma
Chi
ha progettato il luogo, ha fatto in modo
da rendere il periodo di
soggiorno
al suo interno gradevole
e sotto nessun aspetto
associabile
ad una reclusione; ma quest’isola
è finta:
ogni suo ospite
occupa un’ampia area rettangolare
cinta da
file compite di platani,
ma all’esterno, da qualche parte,
ha
un proprio doppio, che è in cerca di lui
e si è perso:
un gemello più introverso
e meno fortunato, di cui ignora
anche
che faccia abbia e dove abiti,
né chiede sue notizie, dalla
nascita.
Sezione Cenere
sulla fronte
Statua
L’emorragia
si aggrava,
quanto più mi addentro nella tundra;
la strada
che ho alle spalle
è una scatola vuota, che si allunga;
la
collinetta di ferraglia ha assunto
dimensioni importanti:
accumula errori di produzione
in quantità, pezzi
inutilizzabili.
Dietro il mio passo, ammassandosi, i giorni
compongono qualcosa che somiglia a una statua,
ma la
statua non rappresenta niente:
le sue braccia crescono a
dismisura
in numero e in lunghezza; il cielo arretra
allo
stagliarsi del suo emblema
di lontano, alla sua posa deforme
(ma
ciò che più di essa spaventa è
quello sguardo, a fissarlo
quasi umano).
Sezione L’albero della cuccagna
La feccia
Ci
si rimane male
quasi ogni volta, nello scartare il premio
con
febbrile curiosità, assegnato
in base al numero estratto.
Come
aprire un cassetto dopo l’altro
e ritrovarli tutti
sistematicamente vuoti; il vino
passa attraverso una lunga
catena
di travasi, sul fondo della botte
resta una scorza
secca,
il prodotto di scarto della fermentazione
del
sangue che si è fatto pietra e oblio.
Sezione Scure del buio
Il centro del mondo
Se
andassimo via proprio adesso,
nessuno ci farebbe caso,
tutto
pressoché uguale a prima andrebbe avanti:
i fantocci di
carta
di cui un filo muove le braccia dietro i vetri,
la
catasta di paglia
data alle fiamme, al termine della quaresima;
a rimpiazzare un uomo, basta poco:
quanta la sabbia
che il vento disperde
altrettanta ne porta, di ricambio;
i
fornitori con puntualità
riempiono di nuove confezioni
di
cotton-fioc e salviette monouso
i banconi di ogni farmacia;
tanto la pioggia prima o poi
pulisce a fondo la città,
la fa
tornare in neanche un’ora come nuova
*
Tarda sera
Più
nessuno sul molo
a una certa ora: le ultime barche
tramontano,
si offuscano i bagliori.
Il mare si distende
sui volti e
sulla polvere che oggi li ricopre:
si porta via
il funambolo
e ognuno dei suoi numeri
e le pose isteriche della scimmia;
ha
un respiro più ampio più potente
di ogni sua singola onda;
non
ha riguardo per quanti aggrappandosi
ai suoi bordi scoscesi
si
insediarono.
Le nostre voci stridule
cancellate
dall’uniforme urlo
della risacca che incalza la riva
con la
sua non sappiamo se una supplica
o una protesta, e che
indistintamente
trascina al largo tutto ciò che trova.
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978.
Vive a Verona da una decina di anni circa.
È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali Il dio che vaga col vento (Puntoacapo Editrice, 2008), Nessun mattino sarà mai l’ultimo (Zone, 2008), L’assedio di Famagosta (Lietocolle, 2015); Il talento dell’equilibrista (Ladolfi, 2018); “Elleboro” (Terra d’ulivi, 2019); Il giardiniere cieco (Transeuropa, 2019); Falò di carnevale (Fara, opera vincitrice concorso "Narrapoetando", 2021); Il sentiero del polline (Kanaga, 2022); Thanatofobia (Edizioni Progetto Cultura, 2022).
Per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio, Marino e Caproni.
La foto di copertina è uno scatto di Sajjad Ahmadi.
La foto presente nell'articolo è di Yu Siang Teo.