Breviario dei luoghi infranti (V) - dalla P alla R

 

a cura di Emiliano Cribari


Tremano i paesi dellAppennino imboscato. Tremano nomadi nell'inverno di chi li ha trascurati. Ognuna di queste parole è un sentiero per andare a trovarli. In silenzio. Avvolti dalla quiete frondosa del mattino. Ventuno parole che ci invitano a riflettere sul nostro Appennino. Sullurgenza, etica e materica, di riposizionare gioia e tenerezza. I paesi ci chiamano con una voce di carezza.




Pregare

Quando una civiltà non pensa più in verticale, i luoghi in cui abita si riducono a ripari, a meri strumenti di sopravvivenza. Vegliare i defunti, essere grati al raccolto, al cielo e alla terra, benedire l’acqua e il pane: nei paesi, fuori dalle grandi città, pregare è sempre stato un rito, una necessità. L’Italia che trema ha visto sciogliersi il sacro. Vecchie icone ora si aggrappano ai muri divorate dall’edera, dai rovi. Sfigurate testimoni di un tempo dubbioso, impaurito. Quando una civiltà smette di credere, di pregare, non ha altra meta che produrre, consumare, rimandare ad altro tempo il dolore. Anche invecchiare è un incubo da rifuggire. Fra le maglie di una sorta di cultura orizzontale (come è oggi quella occidentale), tornare a pregare sovverte, è una rivoluzione. Accarezzare un’anziana, un contadino, inginocchiarsi accanto a un’ape, a un muro a secco, a un glicine sfiorito. Dire (o anche soltanto pensare) qualcosa come grazie. Avere sopra un palmo il buon senso di non bastarsi. Essere grati a qualcosa di diverso da sé.


Quarantena

Quando a marzo 2020 l’Italia ha dovuto fare i conti con il silenzio, per gran parte dei paesi è cambiato poco e niente. L’Italia interna è in quarantena da decenni. Dietro parole tutte nuove come lockdown o coprifuoco in realtà c’era la solita storia: la solita piazza vuota, il solito viavai di cani, gatti, mosche e zanzare. In certi luoghi anche i ricordi hanno smesso di girare. Fanno riflettere i dati sull’andamento del mercato immobiliare: un’enorme massa di persone cerca casa con giardino fuori dalle grandi città, ha imparato a coltivare, anela spazi di aria aperta. Un virus intima le persone ad alzare la testa, a guardarsi intorno, vicino. Le costringe a riscoprire la campagna, il bosco. A sognare il respiro, largo, dei paesi. Le periferie osservano. Mute e ammutolite, senza novità. Ascoltano parole che descrivono bene la loro identità. C’è chi dice quarantena, lockdown, coprifuoco, e chi dice terremoto, spopolamento, lavoro. Un tempo i giovani lasciavano il piccolo per il grande alla ricerca di un lavoro. Oggi non più, non soltanto. La migrazione ha radici che affondano (anche) nella noia, nei “valori”, nella spasmodica ricerca di opportunità. “Non Berlino ma Carpi” dicevano i CCCP. Restare è inopportuno.


Respiro

Esiste solo quando manca. A volte per sentirlo ci si siede per terra a occhi chiusi. I paesi hanno occhi apertissimi, spalancati. Respirano e si sente. Anche così, camminando. Basta stare in silenzio. Ordire un

coro di respiri. Andare a tempo, insieme. Inspirare e sperare. C’è un momento preciso, prima di entrare nella stanza di degenza dei paesi, in cui rimpossessarsi del respiro è cruciale. È come dire eccomi, ci sono, ascolto. I Padri del deserto pregavano a tempo col respiro. C’è una parola stupenda che lo dice: esicasmo. Incantarsi dei luoghi è l’esicasmo dei viandanti.




La foto di copertina è uno scatto di Emiliano Cribari

Post popolari in questo blog

I maestri (XIII) - Pierluigi Cappello

Qualcuno che canti le follie di Dio (XIII) – L’amore è un’altra cosa

Alessandra Corbetta: con la poesia perdonare l'estate della vita