I maestri (I) - Delfina Provenzali




a cura di Luca Pizzolitto


Nevica
sotto i fiocchi il cancello
s'apre sul giardino.
Avanzo.            La sciarpa
s'impiglia a un ferro.
E in me la parola
trama del sogno
                        si lacera.


**


Immersi
in un tempo che non è un tempo
ignorano il dubbio
il non senso lo sdoppiarsi
dei sentieri.
                          Filigrane
                          ragnatele di farfalle
                          impigliano ogni attesa.


**


Hanno dimenticato il mare
e le burrasche e l'inquietudine
delle procellarie.             Lontani
gli aironi e l'ombra degli aironi
il ritrarsi dei granchi verso gli antri
lo sciamare confuso degli insetti.
                                                Ignare
saline stagnano fra terra e cielo.                    
Il cardo lungo argini e alzaie
ci ferisce.
L'aggrumarsi - lento - del sangue
ci abbuia.
                                          Noi sappiamo.


**


Ai miei piedi... nell'ombra
ciottoli del fiume
l'alveo senz'acqua.
Come un geco
negli angoli del muro
cerco
        lame
                di luce.


**


D'ogni uomo potrei ritrarre il volto
e dei rami segni del vento
e dell'inverno.
Di te                                    solo la mano
che nell'aria inscrive
cerchi inquietanti di silenzio.



**



Abitare il tuo sonno        e a lungo
i cortili e le stanze
tra l'ombra e la memoria. Varcare
la soglia incerta del silenzio
            tuo stupore intatto.





Per terre senza acqua
che la creta imbianca
                 avanziamo
ci accostiamo alla muraglia
così fredda
              e improbabile
 nel rigore delle rocce.
 
Contro il cielo in fiamme
il vento

il respiro che si sfalda.


**


Raffiche nelle forre del vento
e in basso
là dove nel farsi
               e disfarsi d'isole
dilagano le maree
                questa frattura
questa voragine d'indaco
che si inabissa.

Tra noi e la terra
              le nubi
e solo l'ombra delle nubi.


**


Dal vigneto
             dai filari disseccati
controluce
si levano nell'aria
              e senza appiglio.
Tralci che la silice imbianca
pencolano sull'orlo
del muro sulla soglia
dell'ombre
per ritornare a se stessi
al loro vuoto. Ramaglie
i nostri gesti.


**


Attraverso la scorza delle cose
il grigiore delle mura.

Come radici che affondano nei solchi
sino alla falda
alla verde vena dell'acque.
Per strappare alla terra
un segno
              una misura.
              
Così insufficiente
             la nostra voce.


**


Abitiamo il silenzio
che corridoi rinserrano
                 e la solitudine.

Eppure
basterebbe che folate
oblique di vento si abbattessero
sui nostri volti
sconvolgessero
i nostri campi senza attesa
per ridestare vocali d'alba.

                Ricominciare il tempo.





Delfina Provenzali Richieri nasce a Palermo nel 1920.
Compie gli studi a Torino al Classico D'Azeglio e quindi si laurea in chimica pura. Segue una seconda laurea a Bologna in biologia. Conosce e frequenta intellettuali nella città piemontese legandosi con particolare amicizia a Primo Levi.

Dal 1961 si trasferisce a Milano dove ha inizio la sua attività letteraria di traduttrice e di poetessa.

Lavora con Vanni Scheiwiller presso il quale pubblica Il giorno fermoL'incisione duraLa parola muta. Innumerevoli le traduzioni di Céline, Michaux, Mallarmé, du Bouchet, Dupin, Esteban Guillevic.

Alterna, fin dagli anni cinquanta, all'impegno sulla parola quello sull'icona: è infatti pittrice autodidatta di versatile comunicativa e di costante impegno.

Muore a Milano l'11 novembre 2002 .





Le foto presenti nell'articolo sono due scatti di Luca Pizzolitto

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