a cura di Luca Pizzolitto
foto in copertina di Claudia Castanò
Avrò passato la parte più luminosa del mio tempo in questi luoghi dove si concentra il dolore degli uomini. I miei occhi si saranno riempiti quotidianamente delle immagini di questa decomposizione della forma umana, della sua disfatta inevitabile. Se si deve tentare di comprendere bene o male e agire, non rimane molto spazio allo sfoggio dei sentimenti. Ci si raggomitola nell'amore ostinato per la vita, il desiderio di guarire - continuamente sventato, deluso - che è anche il desiderio di guarirsi. Su questo filo teso dobbiamo tuttavia camminare.
Tra queste bocche imbavagliate apprendo ogni giorno una nuova composizione dello sguardo, corrosione della speranza e della notte, chimica dell'intensità, della solitudine, dall'estrema solitudine. A volte altre cose. Infrangibili, come se un chiarore o una pulsazione potessero essere infrangibili.
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Ancora e di nuovo questo combattimento impari, la solitudine del vinto, la terra bruciata. Questo particolare filo dell'immensa tessitura che ho dovuto tenere per un istante tra le mani e al quale non ho saputo restituire l'esatto movimento. La mia memoria è un continente di sguardi, di gesti disancorati. Dove trovare le forze per trasportare le montagne che non hanno più peso?
Posso solo rabbrividire nello splendore di questi sconfitte. Piegarmi nella luce piena di una neve dove il calore del sangue si disperde ed è ignorata ogni qualità delle cose.
La notte è di carbone, inerte, le finestre sono cieche. Eppure grandi alberi si muovono nel pensiero, forse acque. Mi dico che da qualche parte deve pur esistere, per quanto povero e irrisorio, un chiarore per giudicare di quel nero, perché possa percepirlo. Un chiarore alla ricerca delle parole, del pane di parole.
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Il tempo d'una rosa
quello di un tubetto di dentifricio
le ore di sofferenza
la gioia della fiamma
i giorni di una vita
la cortesia del caso
nell'istante preciso -
Le dita si slanciano nell'oscurità -
cifre e parole vuote sotto la lampada
lo sforzo sotterraneo tante volte spezzato
riaccesa la sete le parole ricominciate -
Il tuo giorno conosce esattamente il rasoio
i tuoi muscoli le tue arterie ronzano
si tendono si scrollano nella bellezza
del fuoco stagliato nella corrente sparsa
ardore che la tua mano può toccare
costruire la sua clausura il suo teatro
per tentare ancora una volta -
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Figure dove il movimento ogni istante ha preso fuoco, dove il tempo e la paura si sono donati, placcati dentro una mano.
Giorno e notte nelle nostre ossa, nelle nostre parole la voce dei venti e delle onde, la musica delle macine.
E la luce respira dove può.
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Guardo la notte lottare nella finestra
il fondo della barca fa acqua, che sale
nei corpi, le immagini, le idee nel nero
tutto un travaglio di crepitii nervosi
infinità minima di mulinelli di danza
il polmone è fatto di profondità risciacquate
di grida di cavi e di bolle di risa
contro il vetro sbatte una scia di pensieri
e solo lo specchio dell'idea si spezza
sento stridere purissimo il gesso
di una parola nel vento sempre notte -
Lorand Gaspar, nato nel 1925 nella Transilvania orientale, chirurgo di professione, ha trascorso buona parte della sua vita tra gli ospedali di Gerusalemme, Betlemme e Tunisi.
È stato un raffinato traduttore e un grande fotografo del Medio Oriente e del Nord Africa.
Le sue principali raccolte sono pubblicate in Francia da Gallimard.
È vissuto a Parigi fino al 2019, anno della sua morte.