Nostalgia di un mondo perduto. Il ruolo dell'immaginazione nella poesia di Antonio Giovanetti

 


a cura di Pietro Romano


Gli elementi concorrenti a determinare l’esclusione di un’opera dal vaglio della tradizione e dalla sua conseguente trasmissione ai posteri sono molteplici: il testo può non pervenire integralmente e subire interpolazioni, manomissioni e censure; l’autore può non incontrare un ambiente favorevole alla ricezione della sua scrittura o, come sovente accade, risultare non ben integrato all’interno del panorama letterario e socio-culturale di riferimento; l’opera è in un primo momento oscurata dal giudizio di una critica letteraria non sempre oculata nelle proprie considerazioni per essere poi rivalutata positivamente a posteriori. Tuttavia, il fulcro di questa premessa risiede proprio nella constatazione di quanto i fattori sopra elencati, certamente in modo approssimativo e meritevole di ulteriore approfondimento in altra sede, incidano poi sul destino di un autore e delle sue opere.

La storia e l’identità di un marchio editoriale, per esempio, favoriscono la diffusione di un autore piuttosto che un altro, e non sempre ciò corrisponde a garanzia di qualità. Come orientarsi dunque all’interno di un oceano di scritture che, per ragioni diverse e singolari, convogliano nei canali più disparati e talora lontano da un pubblico di lettori che possa fruirne? I presupposti applicati alla trasmissione di un’opera piuttosto che un’altra sono oggettivabili in una linea critica comune e atemporale? Certo, è inevitabile, come per ogni altra vicenda umana, il processo di selezione che il tempo destina alla vita di un’opera. Ciononostante, spetta al lettore, se mosso da tale desiderio, navigare per le acque di quell’oceano, visitarne i luoghi sperduti e dimenticati oppure raccoglierne semplicemente i relitti.

Al termine dello scorso anno scolastico, mi è accaduto qualcosa di singolare, il dono di un mio alunno, Alessandro Giovanetti: due libri di poesia, “Caleidoscopio” (Arte della Stampa, 1932, Pescara) e “Lustrini -luci e ombre della vita”, rispettivamente di Antonio e Maria Giovanetti, suoi zii, che alcuni forse direbbero non sopravvissuti alla prova del tempo.
In rete degli autori non si fa menzione da alcuna parte né esiste bibliografia critica che li riguardi: è stato, pertanto, necessario ricostruire poco per volta la loro vicenda biografica attraverso la storia familiare.
Il lavoro di ricerca cui Alessandro si è dedicato finora è consistito perlopiù in un’indagine condotta presso la biblioteca di Pescara, da cui è emerso un altro titolo, quello di un romanzo, “La torre di Nemrod” (Arte della Stampa, Pescara, 1943) riconducibile allo zio Antonio.
Poi, si è scavato nella biblioteca di famiglia, ricca di titoli che avrebbero potuto influenzare la formazione culturale e il pensiero di Antonio: Teosofia di Ugo Janni, Sette santi senza candele di Carlo Delcroix, Le forze naturali sconosciute di Camillo Flammarion, Il delitto di A.Savile di Oscar Wilde.






“Caleidoscopio” (Arte della Stampa, Pescara, 1932) reca, in copertina, il disegno di una donna nuda che, ritratta di schiena e adagiata su un fianco, è intenta a suonare un’arpa. Seduto alle estremità dello strumento in alto, uno scheletro la accompagna suonando un flauto. L’immagine pare suggerire le coordinate allegoriche entro le quali l’opera si muove: il culto della bellezza e la ricerca di una elegante musicalità, tali da ammaliare perfino la morte. Il titolo sembrerebbe dunque rimandare al carattere di complessità dell’opera, concepita secondo un affastellamento di colori, suoni e immagini atti a restituire la forma cangiante del mondo e del mistero che l’avvolge. 

Le sei sezioni che compongono la struttura di Caleidoscopio sono a loro a volta accompagnate da raffigurazioni artistiche. La prima, “Alla scenografia”, racchiude l’immagine di una donna nuda intenta a sistemarsi i capelli nel mezzo di un corridoio rappresentato in prospettiva e accosta a un alberello dai tratti più o meno sinuosi. Giovanetti introduce il lettore alla raccolta con un poemetto suddiviso in tre parti, dove predomina la descrizione di uno scenario onirico e denso di figure mortuarie: 


Oh viali interminabili

di cipressi

statue brunite

i miei versi

vi giungano da lontano 

o camere arcane e vuote

e distese azzurre

di mare 

e colline fiorite

e castelli severi. 

Sei tu il regno 

dell’incanto 

arte desiosa? […]

Per mezzo di un endecasillabo franto con l’uso di enjambements, il poeta procede nella descrizione di visioni pregne di rimandi mortuari. Il nulla è la dimensione del desiderio: ogni cosa sognata si materializza nel segno della metamorfosi per poi tornare nell’indicibile, cui Giovanetti destina scene inenarrabili e per questo “cadenti”: 

E sognai fondi marini

abitati da sirene

e scalini di corallo

e sedili

di perle. 

E sognai, sognai 

scene che non dipinsi

che non dipingerò

mai!

Esse come in uno scrigno

antico

dalle ferree serrature

poseranno

perenni 

nella mia fantasia

e morranno. 

Morranno lentamente

come gli ideali

di un triste poeta. 

Costruzioni cadenti

torneranno al mare 

del nulla. 

Nel sogno emerge la figura femminile cui allude l’immagine ritratta in apertura della sezione: è definita «diva» e dunque sublimata al più alto grado di bellezza, sola fra «dipinti che non si vedono». La chiave misterica nella quale si inscrive la poesia di Giovanetti si esprime per mezzo di figure fortemente allegoriche e idealizzate, che devono al contempo restituire una visione estetica globalizzante e in grado di convogliare in sé tutte le arti, dalla musica alla poesia, dalla scenografia alla pittura.

La sezione seguente, “Arcobaleno”, è in apertura introdotta dalla rappresentazione di una figura femminile su cui cadono delle luci geometriche. L’intento poetico è chiaro: indagare la realtà come prodotto di riflessi multipli, di continuo mutevoli e osservabili con l’ausilio dell’arte, che funge, per l’appunto, da caleidoscopio. L’esistenza è posta sotto la lente d’ingrandimento dell’artista, il quale la scruta ricostruendo in prospettiva ombre, sfumature e zone di confine tra il visibile e l’invisibile: 


Laggiù, proprio al declino della strada

campestre c’è una chiesa. Nelle sere

spesso io vi entro, quando le preghiere

s’innalzano e la luce si dirada. 


Fregi pesanti, statue con spada

vetuste di re. Pietre bianche e nere. 

Per renderle più tristi e più severe

dalle arcate par che l’ombra vi casa. 


Mosaico sbiadito, vecchio, smorto

architettura d’un tempo passato

chi ti deturpò, chi t’ha logorato?


spesso nell’ombra mi chiedevo assorto. 

Mi rispose una voce misteriosa

“Il tempo che trascorre su ogni cosa”. 


Sogno e visione sono due componenti dal forte valore iniziatico. La lettura adempie a una funzione rituale, che inizia il poeta al mistero e congiunge i vivi e i morti: 


[…]

…Cadono i veli, cadon lentamente: 

due occhi strani mi fissano attenti

Oh! La ravviso è d’essa la Maga

che mi raggiunge. 


Lontano l’orizzonte ha un bagliore

rossastro che al par di fiamme d’immane

incendio si riflette sopra il mare

di sabbia intorno…


…Voglio fuggire, io voglio fuggire

ma non riesco, rimango affascinato

al mio posto. Il sorriso suo m’inebria

ed il suo sguardo. 


Nel suo regno lontano ella mi porta

… io la seguo sommesso nell’incanto, 

nei sogni, nel suo dominio incantato

nell’abbandono. 


Il pensiero immaginativo ribalta la realtà, la decostruisce e ne fa emergere i significati nascosti. La poesia di Giovanetti evoca figure liminari, deputate a mediare tra il mondo sensoriale e quello ultramondano. Nel sonetto Crepuscolo, contenuto nella sezione Quadri romantici, l’attrazione immaginativa che il mondo stimola nell’io poetante si traduce in una rappresentazione densa di rimandi funebri. E tuttavia, la morte appare come quel nesso che rende possibili le segrete corrispondenze tra le cose: 


Per la campagna stavo a passeggiare

nell’ultima e solenne ora del giorno. 

Cadevano le tenebre all’intorno

e mi fermai commosso ad ammirare. 


Udivasi del fiume il mormorare

a ponente il ciel di rosso era adorno

faceva un carro dal borgo ritorno

latrava un cane giù, nel casolare. 


Suonava da lontano una campana: 

quanta tristezza, quanta poesia

quanto rimpianto! In quest’ora amara


il pensiero, l’immagine più cara

sorge, e rivive nella fantasia

ogni gioia e duol, ogni speme vana. 


L’immaginazione è figlia della nostalgia: essa richiama rimossi che il poeta prova a ricostruire con l’ausilio del linguaggio. Alla nostalgia è dedicato un componimento posto in apertura della sezione successiva, Versi di primavere: 


Tornano di poesia le immagini con la primavera

Tornano e si posano sull’alma, lievi. 


Tristi, dolenti, passano i sogni, volan con versi

volano lontano verso desìri vaghi. 


Tornano con i fiori ma non sorridono. Io penso

al mio passato: ombre nere mi circondan. 


Stanca, lontano, per plaghe ignote va la fantasia

vola, e dolente amareggia fra rimpianti. 


La fantasia ammalia e conduce, attraverso il sogno, nei territori dell’incanto: 


[…]

“Incanto, incanto” mi soffia ripetutamente

la brezza. “Incanto, incanto” l’onda scura ripete

ma io non ascolto: chiusi gli occhi seguo il canto: 

dove o Sirena ti celi?


Il poeta è un Odisseo che naviga, per mezzo della fantasia, alla volta del canto. E tuttavia, proseguendo nella lettura, si intuisce che per Giovanetti la parola assolve a una funzione orfica atta a stabilire un nesso tra la vita e la morte:  


[…]

L’arpeggio cessa. Il canto continua monotono

dapprima, poi più lento, s’affievolisce e muore. 

La barca spinta da una ignota forza cammina, 

cammin, cammina sempre. 


Ciò appare più evidente nell’ultima sezione, “L’idolo”, che racchiude un lungo poemetto, caratterizzato da una salda struttura dialogica. Il poeta, dopo avere tanto peregrinato per i boschi della fantasia, immagina di dialogare con “L’Idol del Mistero”: 


[…]

O tu che mi proponi

Il dubbio che si levaa

In te: Perché non lieta

È la vita e il dolore

Succede sul pianeta

Alla gioia e l’amore

Tu guarda in quest’oggetto

E riflesso vedrai

 Colui che il diletto 

Ti procura o i guai 

Per la tua fortuna 

Or si or no risplende

Sì come fa la luna”. 


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