Approdi e lontananze per una geografia dell’incompiuto nella poesia di Nicola Romano
a cura di Pietro Romano
foto in copertina di Pietro Romano
Porsi di fronte al limite tra le cose significa aprirsi a forme del sentire che dislocano la percezione nel tempo e nello spazio. Tocchi e rintocchi di Nicola Romano, silloge del 2003 a tiratura limitata per i quaderni di Arenaria, consta di diciassette componimenti, dove predomina l’inafferrabile senso del mistero che circonda le cose e circoscrive lo sguardo poetico:
Destarsi appena
e vestire i primi sguardi
con l’aria ancora fredda della notte
sperando che il naviglio
rechi la stessa gioia
dell’acqua
che s’increspa tra le mani.
Destarsi dal sonno prelude a un esercizio di apertura di sé alla percezione del limite: l’atmosfera notturna, che colloca lo scenario entro coordinate spazio-temporali indefinite, contribuisce a dilatare la tensione desiderativa dell’io poetico verso l’ascolto della lontananza. Il dettaglio figurativo che sintetizza il movimento è l’elemento archetipico dell’acqua, che, per enjambement, è isolato all'interno del componimento, raffigurando con forza la «gioia» di un nuovo battesimo alla vita. «L’origine è la meta», secondo una fortunata citazione di Benjamin:
Tornare all'isola
sullo stesso lembo
di mute concrezioni:
nella leggera brezza ritrovare
il primo approdo
e il lesto incasellarsi di stagioni
tutte dipinte dentro i nostri occhi
occhi di sale
persi all'orizzonte
di questo mare
turgido e fluente
che porta il tempo liquido
tra i piedi
Il raccoglimento cercato nel verso è per Romano misura di una parola sempre attinta altrove: in questi versi si frantuma ogni rigida scansione del tempo, dislocando, attraverso il pensiero immaginativo, la visione in un passato indefinito, di cui l’isola è figura materna e dimora. Il componimento successivo si fonda sulla contrapposizione di due età, l’infanzia e la vecchiaia, che vengono ambedue a fondersi nella dimensione sospesa del sonno di gennaio:
Gennaio ancora dorme
nelle case
e un nuovo giorno
scende sulla piazza
col barbaglio dei marmi al Politeama
ogni memoria pare
dispersa all'onda calma del mattino
un bimbo sta abbracciato
ad un pallone
un vecchio legge il sole
che batte sul giornale
Le stagioni dell’esistenza si avvicendano e si mescolano. Romano esprime il senso della finitudine, rivelando non solo l’essere per la morte, ma anche per la vita. Il titolo stesso esplicita la cadenza di un tempo che si ripete e sfa i propri fili in un dialogo continuo con i poeti di ogni generazione:
Se muore un poeta
si sfrangia
il merletto del cielo
un’onda raggiunge ringhiosa
la pietra più alta dei monti
annorba la luna
nell'aspra intifada di stelle
e cambia percorso
l’ellisse che porta stagioni
se muore un poeta
E tuttavia, dinanzi allo sconfinato, il poeta non può che sperimentare la percezione di cose incompiute, di un rimosso che faccia apparire inautentica l’esistenza:
Il tempo il tempo
fra le cose incompiute
tra i destini
che nascono con l’alba
duole il tempo perduto
(nell'attesa che spiova)
sotto il manto scrostato
dei balconi
In mezzo alle cose incompiute ha radici la mancanza, che svuota l’istante ponendo il soggetto di fronte all'esperienza dell’inattingibile. Di questa tensione si nutre la poesia di Nicola Romano, che guarda alla «costa abbuiata» riconoscendo, nel suo mistero, l’essenza stessa del dire poetico.