I maestri (IV) - Christian Bobin

 

a cura di Luca Pizzolitto
fotografia nell'articolo di George Brassai


Testi tratti da Christian Bobin, "La luce del mondo", Gribaudi, 2006


Quando ero bambino, trovavo già che le cose non andavano d'accordo con quanto mi si diceva di loro. Me ne stavo tutto a lato del mondo, sul lato muto della vita che si rifiutava ostinatamente di entrare nella vita stabilita. Ho preferito andare io stesso verso le cose per chiedere come si chiamavano, anziché prendere il nome che si dava loro. Così, l'intonaco grigio di un muro irradiato di rose poteva illuminarmi: ero sul punto di sentire quello che dicevano. Potevano essere delle rose, un viso spazzato da un raggio di generosità, la sofferenza di una nonna, la dolcezza di un viso suscitato dalla fatica.
Per trent'anni, ho rifiutato di entrare in qualcosa che mi avrebbe reso folle: le costrizioni e gli svaghi quali ci vengono proposti dal mondo. Era il rumore di fondo che udivo ovunque.


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Vi posso assicurare che un petalo di rosa è sufficientemente solido per impedire che si scivoli nel nulla.


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Ho capito abbastanza rapidamente che il linguaggio non è nulla se non è luce. Non appena c'è un raggio di sole, mi ci precipito dentro: non c'è nulla che possa aiutarci come la luce. Così, con la scrittura sono completamente in pace, ma questa pace è la pace dei bivacchi: non dura.
Forse il paradiso consiste nell'essere interamente presente, sapendo che non ci uccideranno, avere il cuore aperto come un cielo, sapendo che nessuno gli appiccherà il fuoco. Forse il paradiso è essere senza difese senza sentirsi minacciati. La scrittura lo permette. La maggior parte del tempo vivo una vita normale e stranamente minacciata. Sono come un pesce che è stato gettato sulla sabbia. Aspetto che la scrittura torni a cercarmi: allora rinasco per tornare ben presto a morire. E poi, all'improvviso, c'è un momento in cui ho come la rivelazione del tutto, in cui una foglia di tiglio può illuminare tutta la giornata.


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Ho sempre ritenuto che uno scrittore avesse più doveri che diritti, e uno di questi doveri è aiutare a vivere. Se ho messo un po' di luce nei miei libri, è anche per non incupire l’altro, per delicatezza nei confronti di chi mi legge. Mi è sempre parso che ci siano scrittori specializzati a sufficienza nell'incupire e denigrare la vita. I poeti e gli artisti si concedono di frequente una specie di diritto di villania. Con il pretesto di avere talento, credono di avere ogni diritto. Io ho orrore di questo genere di atteggiamento. Qualche volta sono stato forse propenso per la gioia, in quanto non bisogna eludere la sofferenza, ma resto persuaso che sia meglio questo del contrario. Il cuore è un lavoratore solitario. Il coraggio non sta nel dipingere questa vita come un inferno, dal momento che molto spesso lo è: sta nel considerarla tale e mantenere, malgrado tutto, la speranza del paradiso.


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Il posto in cui abito dista forse cinquanta metri a volo di uccello dal luogo in cui sono nato. Ho dovuto fare cinquanta metri in cinquant'anni: è come chiedermi se i viaggi mi appassionano. Sono nato in Borgogna e ci vivo, tuttavia il mio paese non è questa terra. Il mio paese è minuscolo: misura 21 centimetri in larghezza per 29 centimetri i in lunghezza. La mia regione è la pagina bianca, e solo lei. È un bel paese coperto di neve tutto l'anno e a volte attraversato da piogge di inchiostro. Non si va da nessuna parte se non attraverso la scrittura e con essa lascio continuamente Le Creusot. Vivo in questa città, ma credo che potrei vivere in qualunque posto. Le farfalle che si posano su un filo d'erba sono di un'immobilità assoluta. Le loro ali sono ripiegate al punto di formarne una sola. Si direbbe che siano morte. Ma se si tende la mano verso di loro, riprendono la loro velocità luminosa. Quanto a me, le mie ali sono ripiegate dal pensiero, ma non appena mi tocca la luce, sono rimesso in movimento.




Testi tratti da "Autoritratto al radiatore", Anima Mundi, 2012


Domenica 7 aprile


Aspetto. Ho aspettato tutta la vita. Aspetterò tutta la vita. Non saprei dire cosa sto aspettando in questo modo. Ignoro ciò che può mettere fine a una così lunga attesa. Non sono impaziente di questa fine. Il presente è vissuto, pienamente vissuto, ma è poroso, aereo. Ciò che aspetto non è nulla che possa venire dalla parte del tempo. Non posso spiegarmi a questo proposito. Perché dovremmo sempre spiegarci?
Sono diventato scrittore, più esattamente mi sono lasciato diventare scrittore, per disporre di un tempo puro, svuotato di ogni occupazione seria.


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Martedì 9 aprile


Alla domanda sempre imbarazzante:<< cosa stai scrivendo ora?>>, rispondo che scrivo di fiori, e che un altro giorno sceglierò un soggetto ancora più esile, più umile se possibile. Una tazza di caffè. Le avventure di una foglia di ciliegio. Ma per il momento ho già molto da vedere: nove tulipani che scoppiano dalle risa in un vaso trasparente. Guardo il loro tremolio sotto le ali del tempo che passa. Hanno un modo radioso di essere senza difesa, e scrivo questa frase sotto loro dettatura: <<Ciò che crea un evento è ciò che è vivo, e ciò che è vivo è ciò che non si protegge dalla perdita di se stesso.>>


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Giovedì 9 maggio

Le rose in cucina fanno pena a vedersi. Sciupate, annerite, hanno la testa che avevo io da bambino, quando mi toccava stare lontano da casa anche solo un giorno.

<<Casa mia>>, un luogo dove c'è abbastanza solitudine perché una rosa vi possa vivere.


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Lunedì 12 agosto


Sono sempre sul punto di scoprire qualcosa di importante e immancabilmente non lo scopro mai. Quale <<cosa>>? Non lo so. Non dubito della sua esistenza e del fatto che sconvolgerà la mia. Questa <<cosa>> è lì, vicinissima, mi accompagna ovunque, avvolge i miei pensieri senza entrare in nessuno di essi. La <<sensazione>> di cui parlo e che non riesco a spiegare bene l'avverto sin dall'infanzia. Talvolta penso, come ho scritto all'inizio di questo quaderno: <<Aspetto. Aspetterò tutta la vita>>. A volte, come questa mattina, mi dico pure: <<Sono atteso. Non so dove, non so da cosa o da chi, ma sono sicuro di essere atteso>>. (...)


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Martedì 13 agosto


Sotto c'è l'abisso. Per non scivolarci dentro mi aggrappo a un filo d'erba. Da quarantacinque anni mi ci aggrappo, ed esso tiene, miracolosamente tiene.

Il libro è la madre del lettore.


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Venerdì 6 settembre

Io mi occupo di ciò che è piccolo piccolo. Ciò che è minuscolo, infinitesimale. Alla domanda <<che fai nella vita?>>, ecco quello che mi piacerebbe rispondere, quello che non oso rispondere: mi occupo delle cose piccole piccole, porto la testimonianza di un filo d'erba. Il mondo, così come va (male), lo conosco e lo subisco come voi, forse un po' meno di voi; sotto un filo d'erba si è protetti da molte cose.
(...)
Non cerco la pace ma la gioia, e credo che per trovarla convenga cercare ovunque, senza metodicità, e preferibilmente nell'ambito della vita ordinaria, minuscola. Questa mattina ho portato a casa delle rose di una semplicità assoluta. Non hanno alcuna fantasia. Sono stupidamente di color rosa. Non c'è niente da dire su di loro, si può giusto scrivere su di loro, o meglio, con loro. Ecco quel che sono, ecco quel che faccio: veglio delle rose e un filo d'erba.




Christian Bobin (Le Creusot, 1951 - Chalon-sur-Saône, 2022), poeta e scrittore molto diffuso in Francia, per la sua scrittura intensa e efficace, che porta alla luce un sentire profondo, condivisibile intorno all'uomo e al suo contesto fatto di materia "vita".

"Nella sua scrittura la vita è appesa alle piccole cose quotidiane, a cose esili e fragili. […] Per restituire la vita nella sua essenza, la scrittura si fa altrettanto pura, altrettanto semplice, altrettanto vera, altrettanto essenziale" (M. Bertin).

Di questo autore della grazia e della levità, di aforismi e testi poetici, in italiano sono apparsi "L'uomo che cammina" su Gesù, "Francesco e l'infinitamente piccolo" su San Francesco, "Resuscitare", "Elogio del nulla", "Presenze", "Autoritratto al radiatore" e diverse altre opere, pubblicate, in Italia, quasi tutte, da Anima Mundi.


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