Dante: virtù e carità come riflesso del Vero (II parte)

 

a cura di Pietro Romano, si pubblica la seconda parte di un saggio sul III canto del Paradiso di Dante
immagine in copertina di Philippe Veit

1.   La carità e la volontà


L’arbitrio di combattere il male e di rivolgersi a un fine buono determina nella creatura l’inclinazione a scegliere il migliore fra i beni che le si propongono. In tale tensione è possibile ravvisare una stretta compenetrazione tra amore e libero arbitrio: la creatura che apprende a desiderare il vero apprende anche la capacità di riscattarsi dalla sofferenza terrena, non desiderando per sé null’altro che la piena armonia con Dio. Marco Lombardo, nel XVI canto del Purgatorio, spiega: «Lo cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti; ma, posto ch’i ‘l dica, /lume v’è dato a bene e malizia, / e libero voler; che, se fatica/ ne le prime battaglie col cielo dura, / poi vince tutto, se ben si notrica. / A maggior forza e a miglior natura/ liberi soggiacete; e quella cria/ la mente in voi, ch’è il ciel non ha in sua cura. / Però, se ‘l mondo presente disvia, / in voi è la cagione, in voi si cheggia; / e io te ne sarò or vera spia./ Esce di mano a lui che la vagheggia/ prima che sia, a guisa di fanciulla / che pianghendo e ridendo pargoleggia/ l’anima semplicetta che sa nulla, /salvo che, mossa da lieto fattore,/ volontier torna a ciò che la trastulla». I primi movimenti dell’animo umano, sebbene non tutti, sono determinati dall’influsso dei cieli e, quand’anche non fosse così, l’uomo è fornito del lume della ragione che gli consente di disciplinare gli impulsi e distinguere il bene dal male. La volontà appartiene all’anima razionale, come suggerisce Tommaso: «Voluntas enim in parte intellectiva animae est»[1].


2.   Il tema della luce e del canto


Le anime del Paradiso rilucono della loro beatitudine. L’ineffabilità della visione limita la possibilità della parola di restituire globalmente l’oggetto contemplato: Dante, per conferire vivezza alle essenze spirituali che incontra durante il suo cammino, declina, variandolo, il tema della luce che si rinfrange in esse. È significativo che l’apparire e lo scomparire di queste labili forme all’inizio produca nel poeta l’impressione che si tratti di immagini riflesse e non già di anime reali. Nella Commedia la luce coincide con lo sforzo immenso di elevarsi alla conoscenza e contro le comuni leggi umane, sforzo che può essere reso soltanto attraverso un linguaggio allusivo e simbolico. I beati rilucono dello splendore di Dio che, appagando ogni loro desiderio, le salda con sé alla Verità: «Però parla con esse e odi e credi;/ ché la verace luce che li appaga/ da sé non lascia lor torcer li piedi». L’anima di Piccarda, che si leva a parlare con Dante, risplende dei raggi della vita eterna: «O ben creato spirito, che a’rai/ di vita etterna la dolcezza senti/ che, non gustata, non s’intende mai []». La luce si identifica con l’armonia divina e la purità primigenia che promana dal suo volere. Essa soddisfa nelle anime la tensione al desiderio che invece strugge i mortali e risulta motivo di contraddizione terrena. L’imperatrice Costanza, che, come Piccarda, fu suora e poi costretta a lasciare il chiostro perché data in sposa a Enrico di Svevia, aleggia evanescente nella luce in cui sono sospese le anime di tutti gli altri beati. Anche per lei la luce divina è porto sicuro dov’è placata ogni tempesta mondana: « E quest’altro splendor che ti si mostra/ da la mia destra parte e che s’accende/ di tutto il lume de la spera nostra,/ ciò ch’io dico di me, di sé intende:/ sorella fu, e così le fu tolta/ di capo l’ombra de le sacre bende./ Ma poi che pur al mondo fu rivolta/ contra suo grado e contra buona usanza,/ non fu dal vel del cor già mai disciolta». Simbolica risulta finanche la conclusione del canto: quando ormai la vista non regge più alla visione delle anime che si allontanano scortate da Piccarda intenta a cantare l’Ave Maria, Dante si volge verso Beatrice, ai suoi occhi simbolo di conoscenza e imago del Vero. Laddove, nel Paradiso, il poeta si senta smarrito nell’ineffabilità della visione, la donna figura come destinataria del suo più intenso desiderio, rifulgere di quella luce che è oasi di pace da ogni turbamento terreno.

Ai fini della trattazione, l'autore si è servito della seguente edizione: Natalino Sapegno, Antologia della Divina Commedia, La Nuova Italia 2005

[1] Tommaso, Contra Gentium, III, 85



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