Qualcuno che canti le follie di Dio (VIII) – Anche se non lo sappiamo


 A cura di Massimiliano Bardotti




E questo cielo così azzurro

e così dolce il profilo del monte

e tenera l’aria e le nuvole,

non vuol dire che il nostro destino

anche è così tenero e dolce?

Che il dio ci ama e ci coccola

anche se noi siamo all’oscuro,

che nella notte di tempesta

ci tiene sotto le sue ali

anche se non lo sappiamo.

 


(Claudio Damiani)

 

 


Ci sono poesie, e poeti, che sono capaci di squarciare il velo della nostra cecità e mostrarci qualcosa che forse non abbiamo mai visto, o che semplicemente non siamo abituati a cercare.


La nostra ricerca, e per nostra intendo quella del genere umano, ha decisamente deviato, anche inevitabilmente mi viene da dire, nel tempo. Le domande sono cambiate, le necessità, i bisogni.


Non è mia intenzione giudicare alcuna scelta, pongo solo un quesito: siamo sicuri che stiamo cercando quello che davvero ci serve e servendo il giusto maestro? Si dice che l’albero buono si giudichi dai frutti. I frutti del nostro modo di vivere, di stare al mondo, di cercare più o meno un senso, hanno prodotto, di certo insieme anche ad agenti che non sono del tutto sotto il nostro controllo, il tempo in cui stiamo vivendo. Un tempo di grandissime scoperte tecnologiche, un tempo di tecnica, un tempo che ha fra i suoi obiettivi anche la ricerca di un pianeta dove poter andare a vivere, perché nel frattempo abbiamo distrutto quello in cui abitiamo.


Un tempo in cui sembra pura utopia chiederci: come stiamo? Bene? Male? Come stiamo vivendo? Come ci sentiamo davvero? Tu? Come stai?


Il domani, ormai, ci fa estremamente paura.


Siamo terrorizzati dal futuro. Le prospettive sono guerra, pandemie sempre più letali, catastrofi ambientali sempre più terrificanti e l’incubo nucleare che incombe.

La morte, sempre più vicina e dentro le nostre vite, sempre più protagonista del nostro destino, resta qualcosa di completamente sconosciuto, del quale non si vuole e non si deve parlare, così da diventare, giorno dopo giorno, sempre più mostruosa. Eppure:

 

E questo cielo così azzurro

e così dolce il profilo del monte

e tenera l’aria e le nuvole,

non vuol dire che il nostro destino

anche è così tenero e dolce?

 

Questo chiede il poeta. Questa è una domanda che vale la pena porsi! Questo è un quesito davvero utile alla nostra esistenza. Perché l’orizzonte del nostro vivere, indipendentemente da quello che la tecnologia potrà compiere, potrà essere rasserenato solo dal tornare ad avere una relazione con la natura e con la bellezza.


Molte delle nostre paure, divenute negli ultimi anni incontrollabili, trovano respiro e pace proprio nella contemplazione della natura. Nel profilo del monte, nella tenerezza dell’aria e delle nuvole, nel cielo azzurro. E nel sole, che tramonta e risorge ogni santo giorno, nelle stagioni che si ripetono e non dimenticano mai una primavera, nella farfalla, che abbandona la carcassa librando le ali, in volo. Sarà solamente chi avrà vissuto dentro di sé l’esperienza della bellezza che potrà cantare:

 

Che il dio ci ama e ci coccola

anche se noi siamo all’oscuro,

che nella notte di tempesta

ci tiene sotto le sue ali

anche se non lo sappiamo.

 

Siamo amati e coccolati, e nella notte di tempesta il dio ci tiene sotto le sue ali, ci protegge. Anche se non lo sappiamo. Capite? Quanto è folle questo amore? Che nemmeno viene a reclamare il suo intervento, ci cura e lascia che lo si dimentichi e lo si offenda, il più delle volte, con la nostra totale assenza di fiducia, che ci costa serenità e ci gonfia di terrore.


Adesso, però, possiamo gioire! Perché una poesia, un poeta, finalmente ci hanno detto che, anche se non lo sappiamo, il dio ci ama e ci coccola, e che siamo protetti, anche nella notte di tempesta. A noi non resta che crederci, adesso. Adesso abbiamo una scelta…

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