Alessandra Corbetta: con la poesia perdonare l'estate della vita
a cura di Mara Venuto
In copertina, fotografia di Franco Fontana, Nudo, 1978
“Ancora duecento metri e ricorderemo la spiaggia,
il godimento puro di ogni piccolo passaggio”.
Ѐ da questo verso suggestivo che possiamo partire per una lettura di Estate corsara, terza raccolta poetica di Alessandra Corbetta, pubblicata nel 2022 da puntoacapo Edizioni.
Tenendosi lontana dall’iconografia estiva più convenzionale, che suggerisce una celebrazione dello splendore, il tripudio della natura, la spensierata giovinezza che erompe, l’estate della poeta e dottore di ricerca lombarda è ammantata di finitezza, di incipiente caduta e dispersione, della gioia del presente che ha già in sé la malinconia del ricordo.
Una percezione di inevitabile mietitura spezza la visione interiore della magnificenza vitale estiva, per porre l’attenzione sulla caducità, sul prossimo abbattersi della spiga sul terreno, a divenirne parte e nuova sostanza.
In tutta la raccolta, infatti, come è evidente anche nel verso scelto in apertura della nota, è centrale il senso del transito, dell’andare breve verso una nuova fase esperienziale. A conferma di ciò, vi è un abbondante ricorso a lessemi e verbi che restituiscono tali significati: “passaggio”; attraversa”, “trapassato”, “passi”; “attraversare”; “passato”; “passante”, ma anche mediante termini che evocano quel movimento, come: “crepa”; “varchi”; “soglia”, “arco”.
La parola diviene il medium necessario per tenere legati il “Prima”, il “Durante” e il “Dopo” (non a caso le tre sezioni principali dell’opera), e ciò al fine di non disperdere i vissuti e traghettarli verso una nuova dimensione, nell’eternità della poesia (“dire l’indicibile con convinzione / è stato mettere al mondo qualcosa”).
Lo splendore e lo sfiorire, come parti della nuova forma, paiono fondamenta di questa silloge che ha in sé lo strazio del distacco e la dolcezza del ricordo, la compassione verso l’innocenza e il rimpianto per la morte della stessa, la giovinezza come destino effimero, destinato a compiersi nel dolore per approdare a una maturità ammantata di nostalgia (“Non perdona la bella gioventù e ti aspetta / dove muore a vent’anni / anche chi vive fino a cento”; “Parlale. Chiedile sotto il crollo degli anni / chi si è salvato, cosa è stato messo al riparo”; e ancora: “È arrivata da dietro l’estate, sei passi / e poi un colpo alle spalle.”).
L’estate, sempre metafora della gioventù, in Corbetta riverbera di ardore, promana energia e innocente sensualità ma sempre in una prospettiva breve (“a tradimento la giovinezza / viene bucata”). Appare qui lontana l’“estate invincibile” camusiana: il ribaltamento delle stagioni, infatti, è una certezza che si colloca come un epitaffio nei versi di chiusura della quasi totalità dei componimenti. La lucentezza estiva sfiorisce nelle chiose in cui, tranchant, l’autrice ammonisce sulla realtà del presente che avanza nel ricordo, raramente nutrendosene come slancio, più spesso portandolo come un carico di adultità non rassegnata allo status quo. Anche l’assenza del punto in chiusura di ogni poesia denunzia una contingenza irrisolta, un essere non definitivo, uno stare e non stare, una non accettazione quieta. E in questo atteggiamento interiore è possibile trovare il germe vitale della giovinezza, più che nella dimensione del ricordo passivo.
“I luoghi fanno quello che devono. E anche noi”, ha dichiarato l’autrice recentemente, e questa osservazione permette di introdurre un altro elemento sostanziale nella raccolta, ossia la relazione con i luoghi non natii. Se in poesia appare ricorrente e, a tratti, irrinunciabile, il confronto lirico con l’ambiente originario in un’ottica di dipendenza o di conflitto, di innervatura o di frattura, in Corbetta si conferma invece centrale la poetica del transito, come già riferito, non solo rispetto all’alternanza delle stagioni vitali, ma anche in rapporto al viaggio, allo spostamento che, da fisico, diviene emotivo e mentale. La geografia di città tracciata nella raccolta (San Marino; Firenze; Pietrasanta, Siena, Arezzo, Lucca, San Giovanni, Marradi, Sarzana, Monteriggioni, Fiesole, ecc.) è, da un lato, una fedele trasposizione diaristica di esperienze significative per la biografia dall’autrice ma, cosa più interessante a livello poetico, è una focalizzazione sulle potenzialità messianiche dei luoghi, ossia sul loro farsi messaggeri di significati evolutivi. Ogni località, puntualmente nominata dall’autrice, appare quasi personificata, compagna e testimone, ora del vissuto d’amore ora della disillusione; le città appaiono l’unica realtà fedele e costante, punto fermo nell’attraversamento e nel cambiamento (“la mia mano l’ho data / a chi come me non crede / che un luogo ci tenga per sempre”). E, non a caso, la sezione della raccolta in cui è presente la quasi totalità delle poesie dedicate ai luoghi è quella dal titolo “Durante”.
Un’ultima considerazione merita anche il titolo della silloge, rispetto all’inedito aggettivo - “corsara” - associato alla Stagione. Se la parola “estate”, infatti, è evidente soggetto e, istintualmente, si traduce in suggestioni liriche dolceamare, l’aggettivo “corsara” risulta a primo impatto più misterioso.
A livello di associazione mentale, richiama subito una attitudine rapace, la messa in atto di azioni predatorie con baldanza, forza, con una spregiudicata aggressività. Tuttavia, aiutandosi con un vocabolario enciclopedico, ci si può rendere conto anche di altro, innanzitutto che “corsaro” non è l’equivalente di “pirata”, come comunemente potrebbe ritenersi. Infatti, a proposito dei corsari, la Treccani scrive: "privati cittadini autorizzati dallo Stato in guerra grazie a speciali lettere di corsa, con lo scopo di assaltare e depredare le navi nemiche, sia da guerra sia mercantili, al fine di evitare al nemico ogni tipo di commercio.". Si trattava, dunque, di predoni autorizzati, che operavano saccheggi leciti.
La chiave di lettura di questo titolo così particolare potrebbe anche rivelarsi in questa specifica: l’estate, con il suo assalto bruciante, le corse a perdifiato verso l’amore, con la libertà della giovinezza e il suo coraggio, ecco, quella estate della vita serba il diritto all’errore, alla caduta, alla follia, all’impulso, al godimento imprudente. Nella certezza dolorosa che spetterà poi alla vita adulta rimettere insieme i pezzi di “quella gioia brevissima”, “riparare il guasto” del tradimento e del risveglio, “Perdonare, l’estate”, infine.
Poesie dalla raccolta Estate corsara (puntoacapo Editrice 2022):
Sezione PRIMA
Sunny-side
Il lato migliore del sole
somiglia a un occhio di bue
intatto, a una parola
in buona traduzione.
Del resto l’incomprensione
si annida sul rialzo
tra un gradino e l’altro
nell’incombenza di fare
in fretta a fare niente
come quando salta
il grilletto o la polvere
assale le mensole.
Me ne resto un po’ in disparte
dove posso riavere
vent’anni di meno, in quella
parte di emisfero dove
il sole tramonta tardi
e non fa pegno avere detto
sì senza saperne il senso,
sbagliando il significato
**
Heure bleue
L’ora blu non suona, si apre davanti
e fa tutto scuro il cielo
non dice se fine o inizio, osserva
nei capelli troppo corti il germe dell’andare
le tende da scostare a bassa voce.
È stato a una rotonda, è stato in un anno dei vent’anni
il drastico saluto, quell’invisibile perduto
che continua, fa capolino
Sottosezione GIORNI DI LUGLIO
Settembre
Toccherà vivere al contrario la stagione.
E chiedere a qualcuno di indovinare i nostri anni.
Salire al quinto piano come correre al binario:
[o altre somiglianze
da infilare nei discorsi. Il Tempo è già schierato.
Ancora duecento metri e ricorderemo la spiaggia,
il godimento puro di ogni piccolo passaggio
**
Bologna centrale
L’ombra sul palo fuori da Medaglie d’Oro
si è spostata nel secondo quadrante, segna la mezza
ormai da quattro stagioni. Hai le costole in vista
nel cappotto slacciato, la sigaretta accesa
mentre dici non fumo.
Si procede per svincoli esatti,
simmetrie a ogni incrocio nei passi
(dicono che il cemento trattenga i liquidi del corpo,
che il ferro si faccia arrugginire dal passato)
controllo tu ci sia davvero stato – qua – ad aspettarmi
a dirmi è passato del tempo
prima che il semaforo diventasse giallo e tu
ci fermassi, mostrandomi che per salvarsi
occorre sempre attraversare
Sezione DURANTE
Lucca
Attendi l’adesione, il giusto
sovrapporsi delle cose, la virtù
che dalla tavola rotonda arriva fino a noi,
ci perdona e cancella
dal peccato l’intenzione.
Cercare a Lucca un’abat jour moderna
o un terrazzo dove fare colazione
era ammettere l’errore, il possibile
ritorno del superfluo: domani
l’ho detto sottovoce, ti sono stata
accanto nel riflesso
**
Monteriggioni
Da dentro la chiesetta la Madonna ci osserva:
credere o non credere è una ragione
che non possiamo dare.
Alla luce accesa per uno scambio equo
il blu divampa
fa’ che abbia le sue mani
è un petalo di margherita che cade
o magari una preghiera antica.
La camminata a Monteriggioni resterà
l’unico parto: dire l’indicibile con convinzione
è stato mettere al mondo qualcosa
Sezione DOPO
Via delle lame
Tra il bar Jolly e i cocci di bottiglia
sotto i portici si attende la chiamata:
l’attesa è che si sciolga tutto il gelo di Donata
e che qualcuno ce la dica la fatica della pista,
il peso dell’equilibrio sopra il ghiaccio.
Non volteggia, passo dopo passo misura la distanza
dal Tabacchi alla boutique con la scritta rosa, chiede
a un passante se ha d’accendere, se lui sa
moltiplicare il nulla per il niente – se può dirle
per chi sono questi versi, se chi va via
è più vero di chi resta
**
Tardi
È arrivata da dietro l’estate, sei passi
e poi un colpo alle spalle. Ci ha chiamati
con nomi più corti, non ci siamo girati:
eravamo già altri o l’una per l’altro
un tu
invertito da assolvere.
Chinare il capo è
la follia dei girasoli, ricorda
Nell'articolo, fotografia di Franco Fontana, Frammento,1981.
La foto di Alessandra Corbetta è uno scatto di Daniele Ferroni.