I maestri (IX) – Thomas Stearns Eliot

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Da Quattro quartetti (Garzanti 1959, traduzione di Filippo Donini)

(dalla sezione East Coker)

C’è un tempo per costruire
E un tempo per vivere e per generare
E un tempo perché il vento rompa il vetro sconnesso
E scuota il rivestimento di legno lungo il quale trotta il topo
E scuota il logoro arazzo col suo tacito motto ricamato.

Nel mio principio è la mia fine. Ora la luce cade
Piena sul campo aperto, lasciando la strada incassata
Al riparo dei rami, buia nel pomeriggio,
Dove ci si tira su l’orlo quando passa un carro,
E la strada incassata tira via dritta
Fino al villaggio, nel caldo saturo di elettricità,
Ipnotizzata. Nella calda foschia la luce afosa
È assorbita, non rifratta, dalla pietra grigia.
Le dalie dormono nel silenzio vuoto.

(dalla sezione The dry salvages)

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<<Avanti, o voi che credete di viaggiare;
Non siete voi quelli che videro il porto
Allontanarsi, né quelli che sbarcheranno.
Qui tra la sponda di qua e quella lontana,
Mentre il tempo è sospeso, considerate il futuro
Ed il passato con mente imparziale.
Nel momento che non è d’azione né d’inazione
Potete accogliere questo: <<in qualunque sfera dell’essere
La mente di un uomo possa essere intenta
Al tempo della morte>> – ecco l’unica azione
(E il tempo della morte è ogni momento)
Che darà frutto nella vita degli altri:
E non pensate al frutto dell’azione.
Andate avanti.
O viaggiatori, o naviganti,
Voi che giungete al porto, e voi il cui corpo
Soffrirà la prova e il giudizio del mare,
O qualsiasi altra fine, questa è la vostra vera destinazione.>>

(dalla sezione Little Gidding)

Nel freddo senza vento che riscalda il cuore,
Riflettendo in uno specchio acquoso
Una luce che acceca nel primo pomeriggio.
È uno splendore più intenso che vampa di rami o braciere,
Desta lo spirito ottuso: non vento, ma fuoco di Pentecoste
Nel tempo oscuro dell’anno. Tra il disgelo ed il gelo
La linfa dell’anima trema. Non c’è odore di terra
O odore di cosa viva. Questo è tempo di primavera
Ma contro le leggi del tempo. Ora la siepe
Per un’ora è imbiancata da labili fiori
Di neve, più improvvisa fioritura
Di quella dell’estate, né gemme né appassimento,
Contro lo schema della generazione.
Dov’è l’estate, l’inimmaginabile
Estate il cui inizio non si sa?

*

Se veniste da queste parti
Prendendo qualsiasi strada, partendo da qualunque posto,
In qualunque ora e in qualunque stagione,
Sarebbe sempre lo stesso: vi toccherebbe spogliarvi
Dei sensi e della ragione. Non siete qui per verificare,
Per istruirvi o soddisfare una curiosità
O per fare un rapporto. Siete qui per inginocchiarvi
Dove la preghiera è stata valida. E la preghiera è più
Che un ordine di parole, l’occupazione cosciente
Della mente che prega, o il suono della voce che prega.

*

Non cesseremo di esplorare
E alla fine dell’esplorazione
Saremo al punto di partenza
Sapremo il luogo per la prima volta.
Per il cancello ignoto e noto
Quando l’ultima terra sconosciuta
È quella del nostro principio;
Alla fonte del fiume più lungo
La voce Arcana della cascata
E i bambini tra i rami del melo
Ignorati, perché inattesi,
Ma uditi, sì e no, nel silenzio
Tra un’onda e l’altra del mare.
Su, presto, qui, ora, sempre…
Condizione di semplicità assoluta
(Che costa non meno di ogni cosa)
E tutto sarà bene, e
Ogni sorta di cose sarà bene
Quando lingue di fuoco s’incurvino
Nel nodo di fuoco in corona
E il fuoco e la rosa sian uno.


Da “La terra desolata” (InternoPoesia 2022, traduzione di Elio Chinol, a cura di Rossella Pretto)

(dal capitolo I, La sepoltura dei morti)

Quali radici s’aggrappano, quali rami crescono
Da queste macerie? Figlio dell’uomo,
Tu non lo puoi dire, né indovinare, poiché conosci solo
Un mucchio d’immagini infrante, dove batte il sole,
E l’albero morto non dà riparo, né il grillo conforto,
Né l’arida pietra alcun suono d’acque. Solo
Sotto questa roccia rossa c’è ombra,
(Vieni all’ombra di questa roccia rossa),
E ti mostrerò qualcosa di diverso
Dalla tua ombra che al mattino ti segue a grandi passi
O dalla tua ombra che a sera ti si leva incontro:
Ti mostrerò la paura in un pugno di polvere.

(dal capitolo III, Il sermone del fuoco)

La tenda del fiume è rotta: le ultime dita di foglie
Si aggrappano e affondano nell’umida riva. Il vento
Attraversa la terra scura, non udito. Le ninfe sono partite.
Dolce Tamigi scorri tranquillo finché non abbia finito il mio canto.
Il fiume non trasporta bottiglie vuote, carte di sandwich,
Fazzoletti di seta, scatole di cartone, mozziconi di sigarette,
O altre testimonianze delle nozze estive. Le ninfe sono partite.
E i loro amici, gli oziosi eredi di magnati della finanza:
Partiti, senza lasciare indirizzo.
Presso le acque del Lemano mi sedetti e piansi…

(dal capitolo V, Ciò che disse il tuono)

Qui non c’è acqua ma solo roccia
Roccia e nient’acqua e la strada sabbiosa
La strada che serpeggia lassù fra le montagne
Che sono montagne di roccia senz’acqua
Se vi fosse acqua ci fermeremmo a bere
Ma fra le rocce non ci si può fermare né pensare
Il sudore è secco e i piedi affondano nella sabbia
Se almeno vi fosse acqua fra le rocce
Morta bocca di montagna dai denti cariati che non può sputare
Qui non si può stare in piedi né sdraiarsi né sedere
Non c’è nemmeno silenzio fra le montagne
Ma secco sterile tuono senza pioggia
Non c’è nemmeno solitudine fra le montagne (…)




Nota bio/bibliografica di Thomas Stearns Eliot su Wikipedia.org

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