La lingua degli uccelli (III) - Il merlo, il Beethoven dei volatili
rubrica a cura di Alfredo Rienzi
foto in copertina di Alfredo Rienzi: "merlo maschio al canto, maggio 2020, San Mauro Torinese)
I
merli (Turdus
merula)
sono uccelli, per buona sorte loro e nostra, diffusissimi e in salute
come specie. Nell’areale di diffusione europea, inoltre, sono
stanziali alle latitudini mediterranee e meridionali e già
dall’Ottocento se ne è registrata una maggiore confidenza con
l’ambiente urbano e antropizzato («pronti anche adesso a
becchettare/ le briciole sui tavoli d’estate», Alberto
Bertoni1).
Naturale, quindi, che il suo canto dalle infinite varianze e
variamente descritto dai poeti (es.: «canto»2;
«gorgheggiare»3;
«schiocchi»4;
«gridi»5),
ci tenga compagnia (e ci allieti!), e che la sua sagoma, la sua
livrea («il nero e il giallo»6)
e i suoi movimenti a volte frenetici («il merlo in volo»7;
«il merlo è sulla frasca/ e dondola/ felice»8,
«il saltellio9»)
siano da tempo noti a tutti, non poeti e, inevitabilmente, poeti. E
che la sua presenza nella cultura di massa sia consistente.
Nella
poesia italiana moderna e contemporanea, come intuibile dalle
citazioni già riportate, il merlo è una presenza frequente e
ricorrente. Non viene messo in relazione a complessi simbolismi, a
rimandi tropologici o a fondamentali tradizioni.
Un parzialissimo
campionamento ci rileva la presenza del turdide nei versi di
Trilussa, Montale, Saba, Fortini, Scialoja. Tra i contemporanei,
oltre che richiamare Pusterla, poeta attento alla natura e ai
naturalia,
sarà interessante riferire di una specifica opera di Giancarlo
Baroni.
È una presenza quasi sempre di contorno, una nota, un
movimento, un profilo o un comportamento che si inserisce nello
scenario versale senza invaderlo.
Come nella filastrocca
L’uccello
nero
di Toti
Scialoja10:
L’uccello nero
L'uccello nero
salta leggero,
si chiama merlo
senza saperlo.
Ma
in alcuni casi si fa protagonista, emblema, perfino oscuro
messaggero. Già che questo articolo è inserito nella rubrica La
lingua degli uccelli,
dove mi sto inizialmente occupando degli uccelli cantatori, mi pare
appropriato cominciare con la straordinaria La
poesia di
Trilussa11,
dove l’arte del verso e il canto aviario sono viste e rese in
sestine con l’irripetibile e dissacrante sagacia del grande poeta
romano:
La poesia
Appena se ne va l’urtima stella
e diventa più pallida la luna
c’è un Merlo che me becca una per una
tutte le rose de la finestrella:
s’agguatta fra li rami de la pianta,
sgrulla la guazza, s’arinfresca e canta.
L’antra matina scesi giù dar letto
co’ l’idea de vedello da vicino,
e er Merlo furbo che capì el latino
spalancò l’ale e se n’annò sur tetto.
– Scemo! – je dissi – Nun t’acchiappo mica…-
E je buttai du’ pezzi de mollica.
– Nun è – rispose er Merlo – che nun ciabbia
fiducia in te, ché invece me ne fido:
lo so che nu m’infili in uno spido,
lo so che nun me chiudi in una gabbia:
ma sei poeta, e la paura mia
è che me schiaffi in una poesia.
È un pezzo che ce scocci co’ li trilli!
Per te, l’ucelli, fanno solo questo:
chiucchiù, ciccì, pipì… Te pare onesto
de facce fa la parte d’imbecilli
senza capì nemmanco una parola
de quello che ce sorte da la gola?
Nove vorte su dieci er cinguettio
che te consola e t’arillegra er core
nun è pe’ gnente er canto de l’amore
o l’inno ar sole, o la preghiera a Dio:
ma solamente la soddisfazzione
d’avè fatto una bona diggestione.
Il merlo è stato definito, per il suo canto
armonico, melodioso, complesso, variabilissimi il Beethoven dei
volatili. È questa,
una fama è del tutto meritata e la scelta di Trilussa non poteva
essere più azzeccata. Non trascurabile, come vedremo sul chiudersi
dell’articolo, l’aggettivazione «Merlo furbo».
Enigmatico
e inquietante è–qui creatura prettamente boschiva - il merlo che
si fa voce
nell’omonima
poesia di
Franco Fortini12
Il merlo
Uccello che dici “anima
risorgi”, gridi dalla selvetta
d’aceri e ghiande, merlo
d’amarezza, e dal vino
di viole e da cave
d’alabastro o deboli croci
dell’Aventino,
sì, dici, la mente sfinita
annegala e le rughe
nella fonte di giovinezza
che in mezzo al bosco sempre sta
dov’è il paradiso d’edere,
dove il risveglio è riso
e la tua nota non nuoce.
E dove ogni cosa è com’era
per virtù di siepi nitida
in specchi di solchi e nubi
al giovane di cera e veemenza
che nel vento ti udiva
di Pasqua lodare l’ora
e il convento nel blu spariva.
O ridicolo mite vacuo
detto anima mia risorgere
è, lo sai, di chi nulla ricorda.
E invece che Irlanda di morti
narrò mai, di che peregrine
erbe balbetti, di che limbo rivolo
gelidissimo sei.
Con la
raccolta I
merli del giardino di San Paolo e altri uccelli13,
originale come altre sue, Giancarlo
Baroni
ci porge, con testi datati tra il 1993 e il 2014, un vasto catalogo
di «alucce puntute e beccucci acuminati» (Pier Luigi Bacchini,
nella prefazione) nel quale, titolo compreso, i merli sono oggetto di
attenzione particolare. I merli di Baroni sono uccelli pensanti. Sia
quelli dei testi sparsi che quelli protagonisti del poemetto Federico
II e i merli del giardino di San Paolo
(dove
si immagina che questi merli siano i custodi del trattato di
falconeria scritto dall’imperatore).
Così nel componimento isolato Merli
e colibri
a pag. 21(14)
i neri turdidi gonfiano il petto e gridano «te l’abbiamo fatta/
un’altra volta» all’allocco e anche quelli di Merli
parmigiani
(pag. 70) parlano in prima persona plurale:
Merli parmigiani
[…]
I duecento quattro volatili
figurati variamenti negli stucchi
bianco azzurri di Palazzo Ducale
con grazia classica dimostrano
la stima dei parmensi per noialtri
anche mentre ci abbattono?
Nel
poemetto Federico
II e i merli del giardino di San Paolo,
altresì – cito: «I merli del giardino conversano/ fra loro del
manoscritto che custodiscono, e intanto sbeffeggiano gli uccelli
predatori [avvoltoi, civette, falchi pellegrini, pescatori,
pecchiaioli e gazze, cornacchie, biancone], verso cui provano timore
e disgusto». Questi merli, cui Baroni assegna recite argute (cfr. il
testo a seguire), sono forse un unicum,
nella poesia italiana contemporanea, recuperando in qualche modo il
nodo ambiguo della considerazione da bestiario popolare sul merlo,
quello che Alfredo Cattabiani analizza nel paragrafo “Il
merlo furbo e il merlotto minchione”
del suo prezioso Volario15
e
che, in estrema sintesi e semplificazione, potrebbe essere ricondotto
all’osservazione che «la dabbenaggine del merlo giovane è nota a
tutti i cacciatori che invece conoscono l’astuzia di quello
maturo». Evito, ovviamente, ogni parallela considerazione che
potrebbero fare i merli del giardino di San Paolo sui cacciatori e
riporto, invece e per ultimo, questo gustoso componimento da pag 47
della raccolta di Baroni:
*
Davanti agli avvoltoi
non arretrate. Si cammini
diritti compiendo gesti sconci
con le ali. Ché nemmeno
una cincia un pollo quella
fiera fasulla sa uccidere.
Note
(1) Alberto Bertoni, Adriana e la bellezza, in Culo di tua mamma. Autobestiario 2013-2022, Samuele Ed., 2022
(2) Umberto Saba, Merlo, in Il canzoniere, Einaudi, 1961, p. 547. È nota la profonda passione di Saba per gli uccelli, in particolare per i suoi amati canarini e passeri, narrata nelle sezioni Uccelli e Quasi un racconto. Dedicherò, quindi, spazio in altro capitolo al poeta triestino, ricordandone, anche nelle presenti note, la poesia Merlo.
(3) Fabio Pusterla, da Morte del cinghiale, da Folla sommersa. Cfr. anche: Lucio, in Cenere, o terra, marcos y marcos, 2018 e Scablands, IX, in Corpo stellare (2011) e Da qualche parte nello spazio, Le Lettere, 2022, pag. 82
(4) Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto, in Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, 1984, p. 31
(5) Franco Fortini, Il merlo, in Poesie scelte (1938-1973), Mondadori, 1974
(6) U. Saba, Merlo, cit.
(7) F. Pusterla, Lucio, cit.
(8) Eugenio Montale, Il giorno dei morti in Quaderni di quattro anni, Mondadori, 2015
(9) A. Bertoni, Adriana e la bellezza, cit.
(10) Toti Scialoja, Versi del senso perso, Einaudi, 2009
(11) Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 2004
(12) vedi Nota 5
(13) Giancarlo Baroni, I merli del giardino di San Paolo e altri uccelli, Mobydick, 2009, II ediz., Grafiche STEO, 2016
(14) Il numero di pagina fa riferimento alla II edizione del 2016
(15)Alfredo Cattabiani, Volario, Mondadori, 2022, pag. 378-379