Commento a margine (II)- Mar d'Appennino di Emiliano Cribari
rubrica a cura di Daìta Martinez
fotografia di Daìta Martinez
da Emiliano Cribari, Mar d'Appennino (Edizione dei cammini, 2022)
Faccio questo sentiero a mente sgombra, liberandomi. L’ho fatto decine di volte. Per respirare il Falterona – Campana avrebbe detto la Falterona – dall’abitazione di Beppe, dove i castagni fissano la terra al dorso della montagna. Non potevo iniziare questo viaggio che da qui. Da questo silenzio accartocciato, tortuoso, graffiato da enigmatici asterischi di sentieri. Da questo incerto mare – il Mar d’Appenino – salutato dal tempo che scorre secondo natura. Vorrei tracciare un perimetro di queste montagne che separano – che uniscono – Romagna e Toscana. Di questa terra sola e sconcertata, delusa, troppe volte abbandonata. Dove le voci sono ruderi, rovine, e i paesi, dopo anni, stentano ancora a riconoscersi. Eppure resistono ed è per questo che sono qui. Per parlarci, per ascoltarli. Più che un viaggio sarà un cammino, una transumanza dello sguardo, dello stupore. […]
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È il 24 giugno. In questa stagione gli alberi gonfiano, esondano, esultano ebbri come ombre; scavano visioni e accendono colonie di ginestre. Lo sguardo, tumultuoso, corre là. Qui l’Appennino non lascia immaginare. Inizia e finisce in una vertigine di boschi reclinati. Stupore e densità apparentemente inaccessibili. Ci penso mentre sono a pochi chilometri da Premilcuore. Non posso non fermarmi, in un paese che si chiama Premilcuore. In piazza, seduto accanto al municipio, Renato, un signore di novantasei anni, mi saluta e mi fa cenno di avvicinarmi. Ha voglia di parlare.
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Riparto in direzione Marradi. Ho in previsione di fare una lunga sosta all’eremo di Gamogna. A Gamogna si va a piedi. Si parcheggia davanti a una sbarra sulla strada che collega San Benedetto in Alpe a Marradi. Intorno pascoli e boschi. Nient’altro. È qui che inizia il silenzio. Davanti all’eremo, nel quale oggi vivono in preghiera due suore delle Fraternità Monastiche di Gerusalemme, è incisa una frase: “Venite in disparte e riposatevi un po'”. Mi accoglie una suora, francese. Ha un sorriso infantile, sfilato. Che mi ricorda quello della grande poetessa rumena Nina Cassian. Nel chiostro conosco anche Suor Maria Paola, che mi guida nella cella dove vivrò per tre giorni. È una nicchia di pietra con una finestra che tradisce l’immenso segreto dei boschi. Così entro in letargo. Ho un affaccio sull’opera selvaggia di Dio. Il cielo è un trambusto di nuvole imbottite di umori. Il sole macula gli incavi, i canali, disegna chiazze d’ombra sparse ovunque … Qui l’accoglienza ha un senso antico, una ritualità dal gusto medioevale. Nel refettorio giganteggiano un camino, una croce e un tavolo di legno illuminato da un’ambra sfuggita alla morsa indulgente delle finestre. Suor Maria Paola mi spiega che i pasti avvengono in completo silenzio … Nell’aria una musica sacra. E una danza di mani che si porgono piatti, posate, vassoi, brocche d’acqua. Il cibo, così, ha un sapore che ancora non conosco. Dal silenzio imparo dove guardare. […]
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Che odore, le ginestre di luglio. L’estate dei boschi sembra sempre la stessa. Un’ipnosi ostinata di cicale. Di colori che risucchiano i ricordi. Vado, lentamente e senza prendere fiato. Appennino: ingordigia di boschi. Di monti affettati, calvi, ingrigiti. Non sono più abituato a guidare. Ho voglia di buttarmi di sotto e proseguire a piedi. La strada è una serpe di asfalto tra i monti. Qui dominano i monti. Ogni tanto un pigro refrigerio di pietre: un paese. Un altro silenzio. […]
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Il mio viaggio finisce dove Dino e Sibilla si incontrarono per la prima volta: al Barco, nel Comune di Firenzuola. Non c’è volta che io passi da qua senza cedere all’incanto. Senza fissarmi almeno per qualche istante sulla fermata della corriera. Mi domando se sia sempre la stessa dove Sibilla scese, trafelata e forse anche scocciata per le troppe curve, venendo da La Topaia di Borgo San Lorenzo. Dove la stava aspettando, Dino? A cosa stava pensando? Mi piace e mi tormenta fantasticare su quei loro primi momenti, sui loro sguardi – i primi -, sulle loro prime parole. […]
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"Silenzioso, poetico e resistente è lo sguardo che fiata laddove il cammino ha suo significante, etico anche, in una carezza sussurrata a pieno viso sul segreto delle piccole e semplici meraviglie concepite dal creato che, nel suo esserci di grazia, s’intona al canto delle fronde adagiate come muse sul dorso del Mar d’Appenino, humus di una terra non arresa all’inverno dell’abbandono, puntellata dal cielo. Ed è un tremito d’aria la bellezza che commuove il passo sin dove, inaspettato, il bosco si apre e svela spazi infiniti d’infinito stupore sul rossore di ogni alba svegliata al giorno dentro al guscio di una goccia di rugiada scesa nel mistero di un sottile rintocco di Campana, di chi ama, di chi è in cerca di spine e di rose. Un rintocco che ha eco nello scorrere di un torrente, nelle trame dei ruderi, nella parola che abita i paesi dove una finestra è l’invito a guardare il mondo con gli occhi del bambino. Leggere Cribari è tornare al possibile di un gesto errante che ha in sé il privilegio di un tempo lento quale bussola da fiorire tra dita custodi delle cose inascoltate, del candore che ha il suono del cuore."
Emiliano Cribari, poeta, camminatore, cercatore di luoghi perduti. Dal 2019 organizza camminate letterarie nei boschi dell’Appennino. Ha pubblicato La cura degli istanti (Transeuropa, 2019), La vita minima (AnimaMundi, 2020), Errante (AnimaMundi/emuse, 2022), Il valore dell’aria (EC, 2022) e I diari del libraio errante (EC, 2023). Ha curato il riadattamento in lingua italiana della raccolta di poesie La saggezza del condannato a morte e altre poesie di Mahmud Darwish (emuse, 2022).