La lingua degli uccelli (IV) - L'usignolo, il principe notturno dei cantori
rubrica a cura di Alfredo Rienzi
Mario Sernagiotto, L'usignolo, ENCIA, 1955, dettaglio di copertina
L’usignolo è l'uccello canoro per eccellenza, al punto
che il sostantivo “usignolo” è diventato sinonimo di una persona che canta
molto bene. Le sue capacità canore sono davvero straordinarie: il canto è
composto di strofe con toni singoli e toni doppi che si allineano densamente
l’un l’altro. Nella sua vita un usignolo può arrivare a conoscere fino a 260
tipi di strofe diverse che combinate insieme compongono un repertorio di
“canzoni” che di solito durano dai 2 ai 4 secondi. Le variazioni nei canti tra
gli usignoli di diverse aree permettono di riconoscere diversi “dialetti”
regionali fornendo informazioni molto utili per gli ornitologi ed etologi(1).
È un passeriforme della famiglia dei Muscicapidi, che comprende anche
pettirossi, codirossi, pigliamosche ecc. Nel suo nome scientifico Luscinia
megarhynchos c’è già delineato,
secondo Francesco Maspero(2), il suo identikit: da luscus,
oscuro, e cinia, ricollegabile a canto, cioè che canta di sera. E
anche il nome inglese nightingale lo smaschera, derivando da night,
notte e galan, cantare, in inglese antico.
Ricco, affascinante e
significativo è il substrato simbolico-mitologico dell’usignolo e del suo canto
a farsi metafora di canto poetico. A cominciare dal mito di Tereo, Procne e Filomela(3),
trasformata, quest’ultima, proprio in usignolo. Ma sia per motivi di spazio,
sia perché il nucleo si incentra sulla già assodata corrispondenza tra canto e
poesia, non ne tratterò qui, suggerendo l’approfondimento di cui in nota (4) e
tornando a scandagliare nella letteratura l’attributo specifico ulteriore
dell’usignolo-nightingale che canta di sera.
Prima di approdare alla poesia italiana moderna e contemporanea, quasi
inevitabile – e lo fu anche per l’immenso Borges – non pensare alla Ode to a Nightingale
di John Keats, il quale si rivolge nel
1819 (anche qui di notte e con la luna) all’usignolo chiamandolo «immortal Bird»(5),
in quanto il suo canto risuona, eternandosi, dall’antichità all’orecchio umano.
Scrive Borges nel saggio L’usignolo di Keats in Altre inquisizioni: «L'usignolo, in tutte
le lingue del mondo, gode di nomi melodiosi (nightingale, nachtigall,
ruiseñor), come se gli uomini istintivamente avessero voluto che questi non
demeritassero del canto che li meravigliò. A tal punto lo hanno esaltato i
poeti, che ora è un poco irreale; meno affine alla calandra che all'angelo.
Dagli enigmi sassoni del Libro di Exeter ("io, antico cantore della sera,
reco ai nobili gioia nelle ville") alla tragica Atalanta di Swinbourne,
l'infinito usignolo ha cantato nella letteratura inglese; Chaucer e Shakespeare
lo esaltano, e così Milton e Matthew Arnold, ma a John Keats uniamo fatalmente
la sua immagine, come a Blake quella della tigre.»
Abbiamo già
letto, nelle pagine che ho dedicato alla mattiniera allodola in un
precedente articolo, come la
shakespeariana Juliet dica a Romeo: «era l'usignolo, e non l'allodola,
quello che ti ha ferito col suo canto l'orecchio trepidante; esso canta tutte
le notti su quel melograno laggiù»(6) .
Questa
connotazione, che qui da naturalistica si fa letteraria, scava un solco dal
quale i poeti italiani moderni e contemporanei raramente si discosteranno.
Così Giovanni Pascoli che, come noto ha
dedicato tutta la prima sezione di Nuovi Poemetti, La fiorita
agli uccelli, nel componimento L’usignolo, ne ascolta il canto sul far
della sera: «Allor s'aprì la
prima stella in cielo/ […] Un'altra, un altro. Ad ogni stella accesa,/ un nuovo
canto. Un canto senza posa/ correva ardendo lungo la distesa// del cielo
azzurro. - È l'usignolo, o Rosa! –(7). E così ha fatto ancor prima, nei Canti di Castelvecchio, nella poesia L’usignolo e i suoi rivali(8), dove «poi soltanto/ cantava
a notte»:
L’usignolo e i
suoi rivali, di Giovanni Pascoli
Egli coglieva ed ammucchiava al suolo
secche le foglie del suo marzo primo
(era il suo nuovo marzo), il rosignolo,
per farsi il nido. E gorgheggiava in tanto
tutto il gran giorno; e dolce più del timo
e più puro dell’acqua era il suo canto.
Cantava, quando, per le valli intorno,
cu... cu... sentì ripetere, cu... cu...
Ecco: al cuculo egli cedette il giorno,
e di giorno non volle cantar più.
Non più di giorno. Ma la notte! Appena
la luna estiva, di tra l’alabastro
delle rugiade, tremolò serena,
riprese il verso; e d’or in poi soltanto
cantava a notte; e lucido com’astro
e soave com’ombra era il suo canto.
Cantava, quando, da non so che grotte,
sentì gemere, chiù... piangere, chiù...
All’assïuolo egli lasciò la notte,
anche la notte; e non cantò mai più.
Or né canta né ode: abita presso
il brusìo d’una fonte e d’un cipresso.
Nihil novi sub… luna verrebbe da dire
anche leggendo di Giuseppe Ungaretti la
lirica Ultimo quarto(9),
dove il poeta si chiede «E alla pallida [luna]che diranno mai /[…] Con tutto il
suo sgolarsi di cristallo/ Un usignuolo?» (preziosa la definizione del canto,
potente e «di cristallo») e di Angiolo
Silvio Novaro la filastrocca La luna, l’usignolo e le rose, che già nel titolo si insedia di notte, oltre
a citare un altro elemento – la rosa(10) - che ricorre spesso nella
simbologia dell’usignolo:
da La luna, l’usignolo e le rose(11), di Angelo Silvio
Novaro
Nell’ora che ogni vetta
diventa violetta
e dondola ogni cuna,
uscì la bianca luna.
La luna uscì sul mare,
e il mùsico usignolo,
che addormiva il suo duolo)
sotto un dolce cantare,
ammutolì: stupore
gl’invase il picciol cuore.
Preso ebbe il cuore, e
tacque
l’usignol, sì gli piacque
la bianca e schietta luna
nell’ora che ogni vetta
diventa violetta
e dondola ogni cuna.
L’usignolo tacque
assorto;
ma le rose dell’orto,
chine a specchiarsi al fonte,
alzarono la fronte
verso la bianca luna,
e mormorava ognuna:
“Bacia me, bacia me,
che son la più bella:
bacia me, bacia me,
che sono tua sorella!”.
Appena udì le rose,
la luna si nascose
sdegnata e pallidetta
dietro una nuvoletta;
ma poi vi aperse un foro,
e con un raggio d’oro,
che parve una saetta,
baciava l’usignolo,
lui che tacea, lui solo.
La poesia sa spesso disporsi, come la vita, in un punto e al suo opposto. A una
distanza antipodica dalla lieta storiella di A.S. Novaro troviamo, infatti, un’opera
di una delle voci maggiori del Novecento, che nomina il volatile persino nel
titolo: L’usignolo della chiesa cattolica(12)
di Pier Paolo Pasolini. In tale raccolta, del 1958, Pasolini riunì un
gruppo di poesie datate 1943-1949, tra le quali dieci liriche, risalenti al
1943, con titolo eponimo. Il nucleo centrale della raccolta «va ricercato nella
scoperta, da parte del poeta, del dissidio individuale e interiore che lo
travaglia» sul fondale della delusione etica e coscienziale per la società.
Scrive Fulvio Panzeri(13): «la figura dell’usignolo […] è
chiaramente emblematica ed è anche la chiave di lettura dell’intero libro […]
vivente simbolo dei campi, della rugiada e delle colme sere friulane, ed è
anche, al contempo, l’alter ego dello
scrittore […] Di fatto, nell’ottavo dialogo della poesia L’usignolo, la giovinetta gli si rivolge dicendogli: “Povero
uccelletto, dall’albero, tu fai cantare il cielo. Ma che pena udirti
fischiettare come un fanciullino!”» In questi versi, nota Mauro Germani(14),
si manifesta una «contraddizione tra finito [il fischiettare di un fanciullino]
e infinito [cantare il cielo], o l’impossibilità di una loro conciliazione
mediante la parola della poesia». È comunque sempre il canto, il canto alto, poetico, l’elemento che viene – e non
potrebbe essere altrimenti – associato all’usignolo.
Chiudo riavvolgendo filologicamente il nastro: una
variante letteraria e/o arcaica di usignolo è rosignolo (e perfino
rusignolo o rosignuolo o simili). Leggiamo come la Treccani, per definirlo,
rimanda a citazioni poetiche: «Quel rosignuol che sì soave piagne (Petrarca); Il
guarda avvolta in lungo velo,e plora col rosignuol (Foscolo); Nidi
portiamo ancor di rusignoli (Carducci); come un coro di bei
rosignoli è attraversato dallo strido d’un gufo (Bacchelli)».
Ma leggiamo anche come l’ironia di Salvatore
Toma, poeta attento al mondo animale e naturale, ne castighi
l’iperletterarietà, quasi fosse stucchevole poetese:
Il cacciatore protezionista(15)
Il rosignuol!
lo commuove il rosignuol!
con la r moscia e la u
dolce frasario!
e gli piace rosignuol
si atteggia con rosignuol.
Usignolo è rozzo plebeo
si dice troppo in fretta
è di cattivo gusto
ma il gusto cambia
quando è a tavola
la gola lo commuove di più:
il rosignuol lo vuole col ragù!
Note
(1) www.lipu.it/articoli-natura/37-uccelli-e-animali-selvativi/1568-l-usignolo-la-voce-piu-bella-della-natura
(2) Francesco Maspero e Aldo
Granata, Bestiario Antico, Piemme,
1999, pag. 336 cit. in: Alfredo Cattabiani, Volario,
Mondadori, 2022, pag. 292
(3) Robert Graves, I miti greci,
Longanesi, 1989, pag. 46 e segg.
(4) Davide Zizza, L’usignolo archetipo. Indizi e appunti (senza pretese),
L’Estroverso.it, 15 giugno 2013
(5) John Keats, Ode to a
Nightingale, VII, v. 1
(6) William
Shakespeare, Romeo e Giulietta, III,
5
(7) Giovanni Pascoli, Nuovi Poemetti / La fiorita, Zanichelli,
1909
(8) Giovanni Pascoli, Canti di Castelvecchio,
Zanichelli, 1903
(9) Giuseppe Ungaretti, Sentimento del
tempo, Vallecchi, 1933
(10) cfr. § La rosa e l’usignolo, in
A. Cattabiani, cit., pag. 294
(11) Angelo Silvio Novaro, Che dice la pioggerellina di marzo, Zanibon, 1930.
(12) Pier Paolo Pasolini,
L’usignolo della chiesa cattolica,
Longanesi, 1958
(13) Fulvio
Panzeri, Guida alla letttura di Pasolini,
Mondadori, 1998, su www.pasolinilepaginecorsare.blogspot.com
(14) https://maurogermani.blogspot.com/2020/02/pier-paolo-pasolini-lusignolo-della.html
(15)
Salvatore Toma, Poesie (1970-1983), a
cura di Luciano Pagano, Musicaos, 2020, pag. 133