"Da diciassette mesi abito / solo le grandi, semivuote stanze": cinque poesie di Cristina Alziati
a cura di Luca Pizzolitto
fotografia in copertina di Luca Pizzolitto
L'eco
Dentro la notte spessa
- fatte salve le stelle -
per il pascolo alpino me ne vado
al cospetto assoluto del Gran Carro
che tocca da sempre il crinale dei monti.
Nell'aria ferma, di cristallo
muove ora una voce - sono
in un luogo strano
e dentro un tempo strano, dice.
O forse è un'eco, e io non so
se sia dal fondo della valle
o dai larici radi, a provenire
e non lo so dove rifranga
se mentre dice proprio qui esisto
e ora io
dai secoli e altrove esisto
la odo dire.
Sueño
A Jean-Charles Vegliante
Avevo lasciato spalancati i vetri
sui resti della veglia, quella notte
sulla piazza che mai a distruggere
riusciranno, mi dicevi, mai.
Ti ho creduto, o era un sogno.
Della riva da cui scrivo conoscevo
dentro un piccolo sonno
la chiara smemoranza quella notte.
D'Europa
O forse nemmeno il lichene
verrà risparmiato, o la luce di oggi
è già oltretomba. Le settimane andate
possono alternativamente dirsi
pace o deserto, ormai fa uguale.
Io a malapena qui odo
tubare il colombo che all'alba
viene a posare sopra la ringhiera
su una coltre di neve. Nel panificio
più costoso d'Europa
in largo La Foppa a Milano
cercava briciole di pane.
Ammazzalo, gridavano - elegantissimi
a quello di loro con il bastone in mano.
Qui ora io altro non odo
che un tubare innevato, che viene
da ringhiere di cenere.
L'assedio
Da diciassette mesi abito
solo le grandi, semivuote stanze
o qualche metro quadrato di campagna
seduta al tavolino, dentro un assedio
di glicine, papaveri, altee
rosa canina. Alle spalle il sentiero
da cui è mai arrivato qualcuno.
Sopra la testa si inarcano
gli steli della rosa
lambiscono la sedia, il tavolino.
Le mie carte non temono le spine. Habitat Saliamo io e Sofia sul Monte Stivo fra abeti rossi e larici. Lei mi racconta che l'inverno, ormai non riesce a sterminarlo, il bostrico il minuscolo bostrico che gli alberi devasta da sotto la corteccia. Io mi piego verso un resto impietrito di neve a stento ne raccolgo un pugno cerco di celare il pianto. Ma Sofia meglio non fossimo salite a camminare qui, mi dice. Lo sai, vorrei risponderle, che qui qui dove salgo abito, conosco il bostrico la siccità, le ceneri; da sotto la corteccia estate o inverno, la storia mi consuma. Invece taccio. Le prendo la mano. Insieme scendiamo per il bosco.
Dentro la notte spessa
- fatte salve le stelle -
per il pascolo alpino me ne vado
al cospetto assoluto del Gran Carro
che tocca da sempre il crinale dei monti.
Nell'aria ferma, di cristallo
muove ora una voce - sono
in un luogo strano
e dentro un tempo strano, dice.
O forse è un'eco, e io non so
se sia dal fondo della valle
o dai larici radi, a provenire
e non lo so dove rifranga
se mentre dice proprio qui esisto
e ora io
dai secoli e altrove esisto
la odo dire.
Sueño
A Jean-Charles Vegliante
Avevo lasciato spalancati i vetri
sui resti della veglia, quella notte
sulla piazza che mai a distruggere
riusciranno, mi dicevi, mai.
Ti ho creduto, o era un sogno.
Della riva da cui scrivo conoscevo
dentro un piccolo sonno
la chiara smemoranza quella notte.
D'Europa
O forse nemmeno il lichene
verrà risparmiato, o la luce di oggi
è già oltretomba. Le settimane andate
possono alternativamente dirsi
pace o deserto, ormai fa uguale.
Io a malapena qui odo
tubare il colombo che all'alba
viene a posare sopra la ringhiera
su una coltre di neve. Nel panificio
più costoso d'Europa
in largo La Foppa a Milano
cercava briciole di pane.
Ammazzalo, gridavano - elegantissimi
a quello di loro con il bastone in mano.
Qui ora io altro non odo
che un tubare innevato, che viene
da ringhiere di cenere.
L'assedio
Da diciassette mesi abito
solo le grandi, semivuote stanze
o qualche metro quadrato di campagna
seduta al tavolino, dentro un assedio
di glicine, papaveri, altee
rosa canina. Alle spalle il sentiero
da cui è mai arrivato qualcuno.
Sopra la testa si inarcano
gli steli della rosa
lambiscono la sedia, il tavolino.
Le mie carte non temono le spine. Habitat Saliamo io e Sofia sul Monte Stivo fra abeti rossi e larici. Lei mi racconta che l'inverno, ormai non riesce a sterminarlo, il bostrico il minuscolo bostrico che gli alberi devasta da sotto la corteccia. Io mi piego verso un resto impietrito di neve a stento ne raccolgo un pugno cerco di celare il pianto. Ma Sofia meglio non fossimo salite a camminare qui, mi dice. Lo sai, vorrei risponderle, che qui qui dove salgo abito, conosco il bostrico la siccità, le ceneri; da sotto la corteccia estate o inverno, la storia mi consuma. Invece taccio. Le prendo la mano. Insieme scendiamo per il bosco.
Poesie tratte da "Quarantanove poesie e altri disturbi" (Marcos y Marcos 2023)
Cristina Alziati è nata nel 1963 e ha studiato filosofia. Vive a Bolzano. Il suo esordio poetico risale al 1992, quando una sua silloge, presentata con grande convinzione da Franco Fortini, esce in un’antologia. Nel 2005 pubblica il suo primo libro, A compimento (Manni), che, nel 2006, si aggiudica il Premio internazionale di poesia Pier Paolo Pasolini e giunge finalista al Premio Viareggio-Opera prima. Nel 2011 Marcos y Marcos dà alle stampe Come non piangenti, Premio Marazza (2012), Premio Pozzale – Luigi Russo (2012) e premio Premio Stephen Dedalus-Pordenonelegge (2013); quest’ultima raccolta ispira Carlo Boccadoro, che compone Quattro liriche su versi di Cristina Alziati per mezzosoprano e pianoforte (Ricordi, 2013).