Norah Zapata-Prill: nel poema "Mare Nostrum" il dolore sommerso del nostro tempo
A cura di Mara Venuto
In copertina, "Naufragio", opera pittorica di Gilberto Aceves Navarro, 1999.
Per proporre un’analisi sulla raccolta “Mare nostrum” della poeta boliviana Norah Zapata-Prill è utile partire dalle parole di Christian Sinicco, finalista al Premio Strega Poesia con la raccolta “Ballate di Lagosta” in cui, in una sezione, il poeta triestino si confronta con la tragedia delle morti nel Mediterraneo: <<Anche se la marea che insanguina il Mediterraneo continua, unitamente al naufragio di quella cultura che, nata dopo il secondo conflitto mondiale, ha espresso solidarietà, cooperazione tra le comunità, la poesia che esprime valori sensibili può tornare a essere protagonista, a occupare spazi politici.>>
La raccolta “Mare nostrum” di Zapata-Prill,
pubblicata da Raffaelli Editore nel 2022, con la traduzione dallo spagnolo di
Emilio Coco e il testo a fronte in lingua originale, a
quella tragedia contemporanea è integralmente votata, trattandosi di un canto
corale che onora le vittime delle traversate della speranza, le migliaia di senza
nome né individualità che, negli ultimi decenni, con angoscianti tassi di crescita,
annegano ingoiate nel mare magnum della Storia.
Se la cultura della solidarietà e l’etica collettiva si diluiscono
quotidianamente nel materialismo, e la globalizzazione è implosa nelle sue derive
consumistiche, la poesia può davvero rivendicare un ruolo socio-politico, come auspicato da Sinicco?
Norah Zapata-Prill nella sua raccolta sembra affermarlo nitidamente, pur tenendosi
lontana dalla retorica e dai sentimentalismi; la denuncia
del male, inteso sia come effetto sociale che come destino dell’uomo, non
addita né accusa, ma si concentra sul dolore degli innocenti dati in pasto alla
Storia, mediante versi perturbativi quanto epifanici: “Non emergere/Non galleggiare/Non ti riscattino/Non ti identifichino”; e ancora: “E nel mare in quel mare in quei mari/Gli arcangeli/Piangono
ancora dalle pupille dei loro occhi la bambola che furono/Madre e figlia”; oppure:
“Gli duole il freddo o è l’addio che gli duole a quest’ora?”; fino al lapidario:
“Non ci piangiamo/Quello che in me muore era già quasi morto”. Ciò che preme all’autrice è restituire uno sguardo di compassione
alle vittime, rivolgere quell’attenzione singolare propria della poesia, capace
di sottrarre all’invisibilità e all’indifferenziazione, all’ingiustizia e al
vuoto.
Il titolo della silloge “Mare nostrum” merita una riflessione a parte: “mare nostrum” era il nome romano per il Mar Mediterraneo, ma è stato anche l’eponimo dato a una notissima missione di salvataggio in mare dei migranti che cercavano di attraversare il Canale di Sicilia dalle coste libiche. Un nome che, da un lato, echeggia la storia e l’appartenenza, un’identità e un patrimonio naturale, e dall’altro rimanda alla consapevolezza della tragedia e della necessità di un’azione riparativa. Luce da un lato, oscurità dall’altro. E questo stesso andamento mostra il poemetto della poeta boliviana naturalizzata svizzera: in ogni componimento, così come nell’intera raccolta, il movimento è quello dell’integrazione di polarità, la carezza e il taglio, l’alba e la notte, la dolcezza e il dolore, l’uomo e la bestia, la vita e la morte.
La parola poetica si organizza per quadri, immagini dipinte dai versi in un impressionismo rispettoso della tragedia, trasposta con delicata rarefazione anche laddove la realtà emerge crudelmente. La visione offerta appare ora onirica ora memoriale, senza mai indulgere nella crudezza: i versi puliti, secchi e per lo più brevi, sono funzionali a non ingigantire l’orrore e la perdita. La misura della versificazione è pregevole, chiarisce una tecnica sapiente che, non per questo, perde mai di spontaneità, riuscendo ad abbattere barriere artificiose, con un linguaggio parco e diretto, sintassi piana, una matura semplicità della forma.
Alcuni testi, i più emotivamente toccanti, paiono respiri sincopati, evidenziati dai numerosi enjambement, e si identificano come epitaffi poetici, con una modalità lirica in cui la commozione emerge dalla visione e non dal linguaggio. L’umanità protagonista dei versi, con la sua vita semplice e quotidiana, si ammanta di universalità e diventa eterna, le immagini create dalla poeta non trasbordano mai, ma restano dentro una cornice che accoglie e contiene.
Il poema composto da Zapata-Prill è compatto e corale, dal silenzio e dal nulla emergono figure senza nomi, gli “Indefiniti vaganti nel mare cupo” sono volutamente categorizzati come simboli: la madre; una nonna; il vecchio; un fratello. L’anonimato è così realistico che strugge, tanto più perché echeggia il senso di tale scelta stilistica: sono senza nomi i morti nel “Mare nostrum” come “Non hanno nomi gli spiriti”. Tuttavia, la poesia li rende archetipi, li rende sacri, in essi possono confluire tutti coloro che sono andati perduti, ognuno di essi diventa quella madre, quella nonna, quel vecchio, quel fratello.
Come ricordato dal poeta e critico Lorenzo Spurio, la poesia civile è quella categoria del procedimento poetico che pone particolare attenzione nel far luce sulla realtà umana del singolo in quanto parte di una comunità. È del civile l’attenzione verso i diritti della persona e di quella parte della società che necessita di voce, rispetto e libertà. Il poeta civile è il cantore di quello stato di partecipazione alle ingiustizie e all’indifferenza con un intento di denuncia o con la volontà di animare una discussione e alimentare l’attenzione nei confronti di una determinata realtà. Nel caso di Norah Zapata-Prill, la poesia è certamente civile, l’autrice si fa testimone vaticinante, ammantando i contenuti di metafore e simboli: “Lascia all’umana farsa mostrare le sue maschere”; “Allo spuntar dell’alba/La nave/Annegò nelle scure acque dell’arcano/Con la sua creatura tra le braccia/La madre/Quella madre/Fu gabbiano/Pinne/Foglia che trasporta il bruco/Preghiera di baci in ogni gesto/Fu l’immacolata della notte”.
La
tensione prodotta dall’evento esterno, in questo caso dalla migrazione che si
fa morte o emarginazione, caratterizza l’intera raccolta “Mare nostrum”: l’approccio
d’indagine della realtà è fenomenologico, la presenza dell’io poetico
è volutamente minimale e l’enfasi è posta sugli oggetti e sulle situazioni, ma sempre
muovendosi “sul filo della tenerezza”, come sottolinea la poeta Lucia
Cupertino della prefazione, “facendo della sua autrice una funambola del
verso, sempre attenta a non scivolare nel pietismo o nella morbosità
cronachistica".
Va evidenziata anche la forte carica tattile della lingua poetica di Norah Zapata-Prill, la materialità umile e concreta, tanto più lampante nei testi in cui il corpo è protagonista, come veicolo dell’essere nel mondo, frammentato, smembrato nel suo essere percepito contemporaneamente da più angolazioni: “Siamo corpi emersi dalla sabbia/Evocazione della tua nudità e della mia//Sono il tuo sguardo anche se non mi guardi/Anche se non voglio guardarti”; e ancora: “Schiena contro schiena/Come se ogni corpo si nascondesse nell’altro/Come se la notte sussurrasse fiabe che fanno tremare l’alone fragile dell’umano//Vomitavamo/Gli uni/Sugli/Altri”.
In più poesie, i richiami al corpo e alla fiaba con i suoi strumenti (bacchette magiche; fate; ninfe; sirene) evocano la fragilità fisica e la fragilità proprie della condizione infantile: la vita dell’uomo, dalla nascita alla morte, è inscindibile dalla debolezza, che qui non è mai un orrore da negare, bensì una necessaria consapevolezza che genera prossimità e solidarietà umana. L’io poetico, d’altronde, cerca e raggiunge l’identificazione con le vittime, e dichiara quell’esito senza infingimenti (“Sono il tuo specchio/Gemello/Retrovisore//Siamo la mia e la tua umiliazione/Questo spettacolo di alienate marionette”).
Le puntuali evasioni nella raccolta, mediante
le già citate atmosfere fiabesche, i ricordi e rimandi ad oggetti di un
quotidiano caldo e amorevole, a odori, colori, frammenti iconici di certe
culture (palme da datteri; pani impastati sul fuoco; olio d’oliva;
tè di menta; rose del deserto; menta e cannella; olibano; oli di Agar) sono
un funzionale distacco dalla profondità irrisolta del dramma, e donano un
respiro meno corto, echeggiante un altrove immateriale
e lontano dal dolore, quasi una promessa di dimensioni ulteriori e senza tempo, rispetto alla condizione umana più
sconfitta (“La nave/Annegò nelle scure acque dell’arcano / In offerta si semina nel cosmo”).
Il tema del transito è centrale, ma non in senso meramente
contenutistico, ossia legato alla condizione migratoria: si tratta di un transito
archetipico, come si evince dai rimandi al primitivo, all’umano che attraversa
le ere sempre con la stessa provvisorietà e impermanenza: “Di caverna in
caverna/Andiamo/Da caverna a pipistrelli/Da pipistrelli verso le vecchie grotte
di noi stessi/Transitori/Portati/Restituiti/Spossessati”; e ancora:
“Sono di passaggio e odoro di tane/Di passaggio/Passeggero”. A queste
allusioni sono sovrapponibili anche i molteplici riferimenti alla fauna (merlo,
sanguisughe, cervo, cane, polpi, lumaca; gabbiano; bruco; talpa; pipistrelli), alla
flora e alla natura (alberi; fiume; coralli; primavera; autunno; campi; acque; alghe; margherite; malvarosa; acquazzoni; mare;
sabbia): i cicli naturali e umani non sono che un ininterrotto andare, uno
scorrere tra alternanze di condizioni, un passaggio di stati fino a nuove
trasformazioni. In questa visione, il dolore che promana dalle pagine di “Mare
nostrum” non è mai assoluto e finito, come confermano le oniriche e delicate
illustrazioni di Miguel Mealla Blak e Alba Marisa Balderrama che accompagnano il libro. Non è orizzontale la sofferenza che trova spazio nella
raccolta, è verticale, ossia con un punto di vista evolutivo, mai disperato. Tanto
più il distacco dalla carne si fa sversamento nel mare dell’inconscio
collettivo, tanto più i testi mutano colore, dalla cupezza alla saggezza, dalla
ferita alla carezza, e l’aggrapparsi alla vita lascia il posto alla quiete, all’abbandonarsi
al flusso dell’umano destino.
Poesie dalla raccolta Mare Nostrum (Raffaelli, edizione italiana e spagnola, 2022):
2.
Non siamo stati mai così vicini gli uni agli altri
Ammucchiati Estranei Muti
Indefiniti vaganti nel mare cupo
Distanti
Così lontani da noi stessi
Schiena contro schiena
Come se ogni corpo si nascondesse nell’altro
Come se la notte sussurrasse fiabe che fanno tremare l’alone fragile dell’umano
Vomitavamo
Gli uni
Sugli
Altri
Dove il viaggio in tanti requiem?
*
Nunca estuvimos tan cerca los unos de los otros
Apiñados Ajenos Mudos
Indefinidos vagando en el mar sombrío
Distantes
Tan lejos de nosotros mismos
Espalda contra espalda
Como si cada cuerpo se escondiera en otro
Como si la noche musitara cuentos que hacen temblar el halo frágil de lo humano
Vomitábamos
Unos
Sobre
Otros
¿A dónde el viaje en tantos réquiems?
5.
Dopo aver patteggiato con il merlo
Ingoiato le sue magre sanguisughe
Aver bramito come un cervo ferito dal mio lignaggio
Asciugato la mia traspirazione sopra l’erba
Perché questa paura del cane sulle mie tracce?
Non è già troppo il dolore del corpo mio?
*
Después de haber pactado con el mirlo
Tragado sus flacas sanguijuelas
De haber bramado cual ciervo herido por mi linaje
Secado mi transpiración sobre la hierba
¿Por qué este miedo al perro sobre mis huellas?
¿No basta ya el dolor del cuerpo mío?
11.
Il vecchio
Porta oasi
Sbriciola la sua storia in un pezzo di pane che gli resta nella tasca
Il vecchio odora
di malvarosa di margherite di rose del deserto
di menta e di cannella
di olibano che fumava nei riti sacri del suo villaggio
E non è un brutto sogno quello che adesso sogna
è il domino a cui gioca ‒ nel lontano cortile ‒ con ardenti soli e vecchie lune
Gli duole il freddo o è l’addio che gli duole a quest’ora?
Il vecchio
Nessuno lo vede
Non ha nome
Non hanno nomi gli spiriti.
*
El viejo
Lleva oasis
Desmiga su historia en un trozo de pan que le queda en el bolsillo
El viejo huele
a malvaloca a margaritas a rosas del desierto
a menta y a canela
al olíbano que fumaba en los ritos sagrados de su aldea
Y no es mal sueño éste que ahora sueña
Es el dominó quien juega ‒en el lejano patio‒ con ardientes soles y viejas lunas
¿Le duele el frío o es el adiós que le duele en esta hora?
Al viejo
Nadie lo ve
No tiene nombre
No tienen nombre los espíritus.
13.
Forse non tornerò più
Questo presente estraneo si inscrive in ciò che di mortale l’essenza comporta
Come fenicottero in viaggi senza fine
Ti trasporto sulle mie ali per continuare a sognare quel che fummo.
*
Tal vez no vuelva
Este presente ajeno se inscribe en aquello de mortal que la ausencia lleva
Cual flamenco en viajes sin final
Te transporto en mis alas para seguir soñando lo que fuimos.
EPILOGO
Dicono che è felice il viandante che ritorna a casa
Chi conserva in ogni nido la pelle amata di lontani baci
Chi nel vento ode messaggi liberi dalla nostalgia
Si dice che è felice chi si confessa solamente al fiume
Chi saluta
Riverente
La saggia lumaca che viaggia con la sua casa addosso
Chi con lusinghe fa in modo che la tristezza muoia di gioia
Chi balla con gli alberi quando le pene piovono
Si dice che è felice chi si prostra in preghiera per illuminare le sue ombre
E
In offerta si semina nel cosmo.
*
EPÍLOGO
Dicen que es feliz el caminante que retorna a casa
Quien guarda en cada nido la piel amada de lejanos besos
Quien en el viento oye mensajes absueltos de nostalgia
Se dice que es feliz quien se confiesa solamente al río
Quien saluda
Reverente
Al sabio caracol que viaja con su morada a cuestas
Quien con lisonjas hace que la tristeza se muera de alegría
Quien baila con los árboles cuando las penas llueven
Se dice que es feliz quien se postra en oración para alumbrar sus sombras
Y
En ofrenda se siembra en el cosmos.
Norah
Zapata-Prill (Cochabamba, Bolivia, 1946) è docente di lingua e letteratura spagnola
nella Normal Católica “Sapientiae” di Cochabamba e di lingua e letteratura
spagnola nell’Istituto di Cultura Ispanica di Madrid. Ha ricevuto in due
occasioni il Gran Premio di Poesia “Franz Tamayo” (La Paz, 1973 e 1977) e in
Italia, a Lecce, Il Primo Premio Speciale dei Diritti Umani in occasione del
settantesimo anniversario della morte di Anna Frank (2015). Ha pubblicato i
seguenti libri di poesia: De Las Estrellas y El Silencio (1975), Géminis
en Invierno (1977), Diálogo en el Acuario (1985), Fascinación del
Fuego (1985), Encuentro (1987), Antología/Anthologie (Vienna,
2008), Capriccio Umano (Gattomerlino, Roma, 2014) e Mare Nostrum
(Raffaelli, 2022).
Sue poesie sono apparse in giornali e riviste boliviane ed estere. Figura in
numerose antologie della poesia boliviana e straniera. Ha partecipato a diversi
congressi e incontri internazionali di poesia. È fondatrice della Fondazione
Donatella Mauri, istituzione medico- sociale di psicogeriatria (Losanna, 2009)
ed è presidente onoraria del Consiglio della stessa Fondazione. È membro
dell’Accademia Boliviana della lingua spagnola e dell’Accademia Est-Ovest,
Curtea de Arges (Romania, 2019). È presidente e fondatrice dell’Associazione Casa
della Poesia El CACTUS, che organizza dal 2018 un Festival
internazionale di poesia ad Ostuni.
Nell'articolo:
"Naufragio 2", opera pittorica di Gilberto Aceves Navarro, 1999.
La foto di Norah Zapata-Prill è di Mirella Caldarone.