Commento a margine (V): La milionesima notte di Carla Malerba
rubrica a cura di Daìta Martinez
fotografia in copertina di Manuela Dimartino
Da La milionesima notte (Fara Editore, 2023)
Quante volte non ci siamo parlati,
eppure ci udivamo
nelle notti lunghe
in cui i ruoli si erano capovolti.
Ma prevalevano gli sguardi,
i tuoi azzurri di sempre
investono ancora la mia mente.
Mi oppongo alla memoria
che si disgrega, al pianto
che non sgorga.
Tuttavia adattarsi ai giorni
non è perderti, padre.
*
Se dopo la notte
ci fosse un giorno estremo
desolato e solo
che in strada lunga
come via del cielo
in totale silenzio si snodasse
e sola mi trovassi
senza amore
né sogni né parole
mi afferrerebbe lo sgomento
di una vita-non vita
di una pena
e il desiderio di notti di veglia
ad ascoltare
il percettibile schiudersi di un fiore.
*
Sono torpore gli anni
– il torpore del sonno –
quando l’ora non possiedi
né l’alternarsi del giorno e della notte.
Anche di altro poco possiedi:
una coperta, la porta della veranda
dove stanno i fiori
nei loro vasi stretti
e del tempo solo gli scarti,
risicate misure di compenso,
pezzi di vita cui manca il centro.
L’aria al tramonto
è ancora intatta,
ma di questi giorni
la traccia sarà impressa
su facce senza bocca,
ombre sparute
negli angoli di strada.
*
L’oro dei girasoli
mi hai portato
invade la stanza
riverbera di luce
tra pareti che sanno
quanto vorremmo
per un giorno almeno
essere girasoli
in mezzo a un campo.
*
Se qualcosa ci è stato donato
non è da dire con astruse parole
ma col piano linguaggio dei baci
che si unisce assai bene
al volo delle api
e allo stormire leggero del vento
al raggio di sole
che s’infiltra tra i rami
e crea sospese
cattedrali di luce.
La milionesima notte, la notte impressa nella notte. Trasognata dimensione di un notturno avvertito nella trazione di una pacata solitudine accolta in un riverbero di luce quale estensione di parola percorsa all'interno di ogni accento quotidiano osservato nel sonoro di una consuetudine attraversata dal tempo, suo riposto mistero, come mistero è il vento delle stelle quando dagli occhi scendono sulle note della gioia. La voce di Carla Malerba è soave melodia di un respiro che veglia nel chiuso delle case la malinconica vicenda del sensibile in una alternanza, di ombre e di ricordi, tracciata in versi sostanziali ad oltrepassare il limite del nulla col tocco leggero di una carezza scivolata dentro allo stormire di un’alba immersa in un bianco silenzio filtrato nel percettibile schiudersi di un fiore teso sino all'estremità del giorno. E tutto diventa ascolto e chiarità di un sogno avvertibile nella speranza di un fascio di sole intrecciato tra rami, centro di una narrazione sulle nervature delle foglie / tremanti; eppure, di vita resistente nonostante lo smarrimento, l’assenza, la recente chiusura pandemica, l’indicibile persistere della fragilità umana con riguardo poggiata sull'armonica sponda della poesia.
Carla Malerba è nata a Tripoli (Libia), ma dal 1970 risiede in Italia. Nella città natale pubblica, giovanissima, i suoi primi versi. Iscritta alla Facoltà di Lettere Moderne a Catania, interrompe gli studi universitari a seguito di eventi politici. Si laurea presso l’Università degli Studi di Siena. Ha insegnato Lettere ad Arezzo, città nella quale vive. Nel 1999 pubblica a Cortona la sua prima raccolta Luci e ombre, seguita nel 2001 da Creatura d’acqua e di foglie (Ed. Calosci, Cortona). In esse i temi della perdita e del dolore si fanno pressanti anche se, a tratti, la memoria assume una funzione salvifica. Con la le raccolte Di terre straniere e Vita di una donna (pubblicate con La Vita Felice, Milano, 2010 e 2015) riprende i temi del viaggio esistenziale e degli affetti. Nel 2020 pubblica Poesie future (puntoacapo Editrice). Ha vinto diversi premi.