Freda Laughton: la poesia come eco dell'interiorità

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In un contesto socio-politico e culturale come quello odierno, caratterizzato da sentimenti di misoginia diffusa e dal mancato riconoscimento di diverse istanze del femminile, l’arte torna ad avere un ruolo centrale nella messa allo scoperto delle geometrie di potere che limitano la costruzione di nuove prospettive di azione politica. A tal proposito, notevole è il volume intitolato Donne d’avanguardia, edito da Il Mulino, di Claudia Salaris, dove sono presenti i ritratti di circa 30 figure di donne che si sono distinte nel mondo dell’avanguardia artistica nella prima metà del Novecento, da Eva Kühn Amendola a Benedetta Cappa Marinetti, dalla marchesa Casati a Tina Modotti. Il femminile, il cui riconoscimento è da sempre condizionato e negoziato a seconda dei contesti, dei posizionamenti e delle intenzioni, viene oggi a configurarsi come un territorio plurale, capace di tenere insieme, su scala globale, molteplici aspetti della modernità. In questa chiave può essere letta l’opera di traduzione di Viviana Fiorentino delle poesie della poeta irlandese Freda Laughton, rappresentata dal volume A Transitory House- Una casa transitoria (Arcipelago Itaca, 2022), fregiato dalle note introduttive di Renata Morresi e Lucy Collins nonché dalla postfazione di Emma Penney. Come osserva Renata Morresi all’interno della sua nota, “l’emarginazione critica delle poete, in particolare di quelle che scrissero prima degli anni’ 60, rimane una questione controversa negli studi letterari irlandesi. Tale esclusione è particolarmente marcata per la generazione di donne che scrissero dopo la fondazione dello Stato Libero d’Irlanda nel 1922. Gli anni’30 e ’40 furono decenni segnati dall’isolazionismo politico, economico e culturale in Irlanda; questo insieme a una minore enfasi sul ruolo della cultura nella formazione nazionale, contribuì alla persistente invisibilizzazione di una intera generazione di scrittori e scrittrici”. Inscritta all’interno di questo quadro, la poesia di Laugthon acquista una forte connotazione politica, se attingiamo poi anche all’aspetto biografico: infatti, il nome da nubile dell’autrice era Winifred Adeline Marshall. In un panorama culturale dominato dal maschile, nota Morresi, “cambiare nome è un palliativo se lo scatenamento libero dell’ispirazione, l’autorevolezza della parola, l’immaginario che popola la mente creativa, i suoi simboli e figure, la forza espressiva di echeggiare una voce pubblica, sono modellati al maschile e fanno del maschile il paradigma di default […] Molte autrici, più o meno note, più o meno dimenticate, hanno lavorato da straniere, si sono spese nell’oscurità per rinegoziare un senso del valore non normalizzato sul maschile del buonsenso comune. Penso che Freda Laughton sia una di loro. Il nome che firma Una casa transitoria è già emblematico: in parte frutto di una convenzione, con l’adozione del cognome del marito, in parte diminutivo originato dal nome di battesimo, Winifred, e, al tempo stesso, rivendicato per intero come nome d’autrice, nome di donna della mitologia norrena, nome proprio un passo vicino a ciò che è libero. È una suggestione la mia, certo, ma non così lontana dalla verità della poetica di Laughton […].

La poesia di Laughton intreccia la dimensione psichica a quella simbolica. Questo dato interpretativo consente, fin dalla prima poesia che apre Una casa transitoria, di intercettare uno degli elementi tematici più ricorrenti all’interno della raccolta, segnata da riferimenti archetipici:

Mentre al sole il cigno

promette omaggio di serenità

con la musica della forma rispecchia

la cadenza del fiume che scorre,

io nel mio nido, labirinto

sotto la pelle del pensiero,

fatto di stoppie di circostanze e tempo,

scaldo col mio cuore un uccello

raccolto in gestazione nel guscio dell’attesa,

quell’eco di seme lunare dell’amato sole,

il suo viso a volte posa sul fiume,

guancia su guancia, luce sopra tenebra.

Il cigno, illuminato dal sole, è emblema di fulgida bellezza che si trasmette alle cose come musica. Lo sguardo contemplativo della poeta riproduce in un processo mentale la visione del mondo esterno, simbolizzandola: la mente è un nido, labirintico certo, fatto di tempo, ma tutta raccolta in gestazione, intenta a scaldare col cuore un uccello. L’atto creativo figura come un processo di paziente gestazione, durante il quale l’artista recupera ombre e riverberi di ciò che precede la parola, lasciando sedimentare la propria sensibilità creativa. La luna è essa stessa immagine materna e feconda, il cui mistero si irradia alle cose come attraverso un’eco, seminando indizi di bellezza. Ma la bellezza sfiorisce, è una dimora transitoria dove sostare:

Materno il guscio

culla l’uccello embrione,

una casa transitoria,

progettata per una sicurezza breve,

di intenzionale fragilità,

una bellezza costruita per essere spezzata.

Come poi il guscio potrebbe

supplicare immortalità

se solo la sua immolazione

evoca gli uccelli?

E persino la bellezza alata

a sua volta è effimera,

cancellata da un’inesorabile

perpetua genesi.

Ma a breve il guscio materno

di nuovo alloggerà l’uccello

in una bellezza transitoria

costruita per essere infranta.

Si avvicendano altre immagini generative, allusive alla transitorietà stessa dell’arte: tutto ciò che è destinato alla bellezza, porta con sé tracce di fine, tracce di morte, in un eterno ciclo di ripetizione. L’oblio si accompagna al tempo e alle cose umane: a esso l’arte vanamente si oppone, rigenerando sé stessa per abitarsi e predisporsi di nuovo all’addio. D’altronde, l’io poetico è il risultato della confluenza di passati ancora vivi, che si rimodellano giorno dopo giorno sulla base dell’esperienza presente:

Solo per un poco permettimi questo, –

Lasciami appoggiare alla mia vita ancora,

fermare questo mio mondo dal ruotare,

riflettere gli umori e le transizioni di tutti

i miei anni fino a ora, nello specchio lungo

del mio pensare oscuro.

Tutto quello che ho conosciuto di luoghi, persone, cose,

fa parte di questo corpo lungo, sé assottigliato,

del mio tempo dipanato.

Passati, vivono ancora in me, cellula della mia cellula,

miele, l’esperienza di ogni giorno ha fatto un alveare e rimane custodita

in una cera pregna […]

Lo spazio delle parole è anch’esso provvisorio, poiché ogni cosa è cangiante e ubbidisce alle leggi del divenire. Una sensibilità inquieta si muove tra i versi, ricettiva e attenta a cogliere le vibrazioni impercettibili del mistero nel quale la vita si genera e finisce:

Da bambina sapevo

come, oltre il circuito della lampada,

risiedesse l’Ombra dell’ombra

di questa tenebra,

aspettavo con un bacio artico

sotto la tromba della scala,

pronta ad adornare il letto di visioni

che nessuna palpebra può far svanire.

Ora sono una torre di tenebra,

le sue finestre, aperte verso il dentro,

osservano le maree dei pensieri.

E in questa campana vibrante,

incavata dal silenzio degli occhi,

la mente oscilla il suo batacchio.

E la vita si risolve in relazioni

di cadenza e dissonanza.

L’infanzia è la dimensione nella quale prendono forma i primi contatti con il mistero. L’introiezione è il processo con il quale gli aspetti del mondo esterno vengono poco per volta introdotti nel proprio sé per poi essere interiorizzati. Questo testo è un racconto del tempo interiore di Laughton, un tempo nel quale ogni cosa del mondo esterno si fa eco profondissima verso il dentro, richiamando altri moti, altre visioni, provenienti da chissà quali lontananze. L’indicibile abita il poetico e coincide con la poeta: è una torre di tenebra, impenetrabile finanche all’io che osserva dalla riva maree di pensieri. Emma Penney, cui dobbiamo le molte notizie in nostro possesso circa Laughton, scrive:

L’archivio di Laughton conserva una copia di A Transitory House nella sua forma manoscritta originale con un titolo diverso: Distill this Darkness. Le poesie stesse sono piene di ombre: la mente della poeta è assorbita da ciò che potrebbe essere trattenuto in fondo al pozzo, ai piedi della scala, o oltre il circuito elettrico della lampada. Molte delle poesie di questa raccolta riguardano l’essere poeta e certamente questa preoccupazione per l’impercettibile è qualcosa che Laughton considera centrale nello scrivere e nel modo di concepire le poesie. Now I am a Tower of Darkness descrive la relazione della poeta con il proprio processo creativo. Riflette la sua ossessione per l’ignoto, la fonte inosservabile della creatività che incoraggia una curiosità esitante come quella dei bambini. Comprende l’oscurità in relazione alla luce e questo le dà conforto nell’oscurità poiché sente che potrebbe essere necessaria per la leggerezza”.

L’identità poetica è il suggello di luci e ombre che vibrano nell’eco dell’impercettibile e dell’ignoto. Un binomio, quest’ultimo, che ha radici in un’interiorità risonante, capace di far derivare dalla percezione spazio-temporale gli echi e i presagi di un altrove dislocato al di là della vita e della morte:

Da dentro

una pioggia leggera sembra far fusa;

un brusio di uno scroscio più forte,

api che ronzano.

Enormi mani che impastano e sbattono

il tetto sotto

la fuga indaco del tuono.

Zoccoli di pioggia picchiettano.

Ora senti la casa diventare

Tamburo.

Intercettare il compimento delle cose è il fine verso il quale muove questa poesia, apparentemente tutta risolta nel pensiero. Un pensiero che si genera da sé per proiettarsi all’esterno:

Si adempie in ogni petalo questa rosa

nudo il suo splendore nei miei capelli di rovo.

Non è ancora notte, né un giorno nuvoloso,

quando si sparge il suo profumo irruento nell’aria.

E alla sua candela sia il vento gentile,

o piuttosto, incapace di non risvegliarla.

Potrebbe allora un pianeta catturato nella mente

cambiare la sua incandescenza in un tal fiore.

Questo modo di percepire il Sé in relazione al mondo è generato esso stesso dall’arte come processo uterino:

Come stretta dentro un guscio tranquillo,

come se fossi anch’io dentro a un utero,

anch’io avvolta mentre avvolgo la bambina

come il bocciolo teso avviluppa la foglia pieghettata,

il fiore arrotolato come un ventaglio avvolto,

così la vita mi avvolge mentre avvolgo il mio fiore.

Come l’acqua riposa in una bella ciotola,

riposo nella mia vita e la vita di nuovo

riposa avvolta stretta dentro la mia cellula vivente.

La mela cresce alla base del fiore,

e come la luna io cresco fino al cerchio

pieno del mio essere, fin quando anch’io

sarò matura del vivente e il mio frutto cresciuto.

E allora romperemo il guscio della vita. Saremo nate,

la mia bambina e io, insieme, al sole.

L’individuazione del Sé come unità senziente, che si corrisponde con il mondo esterno, avviene in concomitanza con l’esplorazione dell’intimità sessuale e di tutte quelle dinamiche pulsionali e razionali che, come osserva Lucy Collins, “mettono in discussione l’idea di un’identità stabile e unica”. Proprio Collins, al riguardo, scrive:

Le energie contrastanti dei comportamenti istintivi e razionali esercitano una forza potente sul processo creativo di Laughton. La sensualità è al centro della sua rappresentazione della soggettività femminile e affronta la relazione tra il soggetto parlante e il suo ambiente con modalità innovative e uniche.

Inoltre, tutto quello che è contenuto nello spazio risuona dei tumulti dell’interiorità: la dimensione interiore, in altre parole, vive e si sostanzia del mondo esterno, ricostruendo quest’ultimo sulla base di significati che permettono all’io la continuazione della propria indagine attorno al mistero delle cose. Così, ad esempio, è esplorato il lutto:

Quando eri con me ero composta d’amore,

e quando mi amavi diventavo vaso,

e in me, con un gesto e una carezza,

hai messo centomila fiori diversi.

Quando eri assente persino i mobili

assumevano espressioni aliene e tristi.

Ho sentito le ossa vuotare la carne in ascolto

il giorno in cui vennero a dirmi che eri morto.

È in ragione di questa sensibilità aumentata che Laughton sente la morte tanto compenetrata nell’esistenza. Ogni paradigma archetipico, dinanzi a questa percezione, è destinato a decadere, svuotato di senso:

A nove anni iniziò il terribile regno

dello scheletro, nuovo appena scoperto;

in fosforescenza sulla tenda della notte affiora,

dissolto dall’acqua luminosa dell’aurora.

Lungo gli stretti corridoi del sogno ho corso

Riluttante alla ricerca di questo uomo del post morte. […]

Padre e Madre mai mi sentirono

battere con i piedi lungo la strada […]

Con le lezioni di anatomia

l’orrore della morte scivolò via […]

Il perturbante può essere razionalizzato solo se l’interiorità lo riconduce a un simbolo attraverso cui soddisfare il bisogno di senso. Laughton, attraverso la sua poesia, indaga sé stessa e il proprio modo di percepire le cose, avvertendo un limite invalicabile, quello dello strappo intrinseco a ogni ciclo generativo. Nulla, per quanto tenda a una continua genesi, può essere scisso dall’evento dello strappo, della separazione da sé: la vita è strettamente compenetrata con la morte e ambedue contengono la costante del dolore e della perdita.





Fotografia in copertina: dal web

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